Il cinema di Ingmar Bergman: L’adultera
Per la rubrica settimanale Il cinema di Ingmar Bergman, oggi parliamo di L’adultera, opera anomala del regista spesso liquidata come minore.
L’adultera è un film del 1971, affronta un tema molto importante per Bergman: la colpa del desiderio. Nonostante non sia stato apprezzato dal grande pubblico, tratta un tema fondamentale legato all’emancipazione femminile.
La relazione
La storia di Karin, moglie e madre di una famiglia borghese e apparentemente serena, si sconvolge non appena incontra David, archeologo ebreo americano segnato dalla perdita della famiglia durante L’Olocausto. I due si innamorano e iniziano una relazione, all’inizio vissuta grande libertà. Il marito di Karin, Andreas, medico gentile e silenzioso, resta sullo sfondo come spettatore consapevole del proprio ruolo in questo disordine.
L’adultera non convinse il grande pubblico, la narrazione è a tratti sbilanciata, ma è affascinante vedere che Bergman tratta l’amore come un trauma e non come un sentimento. Karin non è una figura emancipata, è una donna attraversata da un’energia che la destabilizza. Il suo tradimento non è fuga, ma interferenza.
L’opera
L’opera è stata un esperimento sincero e malinconico che racconta cosa resta quanto l’amore si fa troppo umano per essere sacro e troppo vero per essere effettivamente sicuro. Karin è una figura molto complessa, estremamente fragile e alla ricerca di se stessa, inquieta ed estraniata. Nonostante le critiche ricevute all’uscita del film e lo scarso successo commerciale, L’adultera rimane un tassello molto importante per comprendere il pensiero bergmaniano.
La conclusione di L’adultera, è un momento intenso e ambiguo, Karin dopo essere arrivata ad una dolorosa consapevolezza, sembra trovarsi di fronte a una scelta impossibile. Il finale riflette sulla complessa natura dei rapporti umani. Le ferite emotive non guariscono come gesti grandiosi, Karin sceglie di tornare da suo marito: non c’è redenzione facile, né punizione esemplare, c’è solo la fragile verità di un amore che si rinnova, incerto e precario. La chiusura vuole sottolineare uno dei più cari temi di Bergman: la convivenza dolorosa con l’imperfezione umana, che rende la vita reale così difficile da decifrare e così intensa da vivere.
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