Jan Švankmajer non riesce a concepire il cinema in forma lineare e diventa un genio sperimentale che sorprende con cortometraggi e animazione stop-motion.
L’animazione, seppur è diventato un vero fenomeno popolare più avanti, nasce già intrinsecamente assieme al cinema stesso. Tra il 1907 ed il 1908 vengono prodotte e realizzate due opere considerate i primi esempi di film d’animazione di sempre: rispettivamente il film in tecnica mista stop-motion The Haunted Hotel di J. Stuart Blackton ed il film disegnato a mano Fantasmagorie di Émile Cohl, acclamato universalmente come padre dell’animazione.
L’animazione poi si è sviluppata in moltissime direzioni diverse, venendo diffusa globalmente grazie ai corti della Disney – dapprima con la serie Silly Simphony – che settarono uno standard preciso per chiunque li avrebbe seguiti successivamente. Ma, come detto, l’animazione è un’arte ancora oggi in evoluzione e, non tutti i registi che volevano esprimersi con questo mezzo, volevano farlo nella maniera tradizionale, proprio come Jan Švankmajer.
Jan Švankmajer è uno dei cineasti che più in assoluto ha saputo giocare con i mezzi a sua disposizione, storcendo la linea tra finzione e realtà e tra animazione e live action. Classe 1934, di Praga, Švankmajer già dall’infanzia sviluppò quelle che poi sarebbero diventato le sue passioni definitive e visibili nei suoi lavori: burattini, scenografie, teatro, pittura, scultura e magia.
Dal suo esordio con il primo corto del 1964 fino al suo ultimo lavoro nel 2018, Švankmajer è cambiato ed ha sempre cercato di proporre prospettive uniche e considerate solitamente bizzarre, ma che sembravano la transposizione cinematografica di un quadro di Paul Klee piuttosto che un’opera di Kandinsky. Tutte queste caratteristiche lo hanno reso un maestro – ora ritirato a vita privata – la cui influenza è visibile in alcuni film ancora oggi.
1982. Il capolavoro Possibilità di dialogo viene presentato al Festival di Berlino e vince, lasciando esterefatto anche gente come Terry Gilliam. Un corto da 12 minuti sull’impossibilità o l’iper-possibilità nella comunicazione. Una finestra cinematografica che riesce a trasportare il mondo vent’anni nel futuro e fino ai giorni nostri. Una profezia sulla comunicazione digitale, sull’idea stessa di civilizzazione e sull’uniformità.
Traducibile in italiano come Giochi maschili, questo corto del 1988 ancora una volta pone le basi di alcune tematiche che, ai giorni nostri, sembrano essere di quotidiana discussione. Un uomo, da solo con le sue birre, si siede a vedere una partita di calcio che consiste nei calciatori che si mutilano e torturano per la quasi totalità dei 14 minuti di film. Il racconto di una mascolinità tossica che non coinvolge altro che non sè stessi.
Nel 1989 Švankmajer realizza Tma/Svetlo/Tma – traducibile in italiano come Oscurità/Luce/Oscurità – in cui un corpo umano in pongo cerca di formarsi, mentre ciascuna sua parte del corpo si riunisce in una stanza. Sicuramente il più intrigante e complicato dei suoi lavori, questo corto offre un’interpretazione unica ed astratta sull’identità e sul successo.
Nel 1990, la BBC chiese a Švankmajer di realizzare un film sulla situazione della Cecoslavacchia, e lui rispose con un corto in cui il busto di Josif Stalin viene aperto, facendo così dipanare una cartina che parte dal 1948 fino al 1989. Una satira politica e sociale diretta ma sottile allo stesso tempo, nonchè forse l’opera che Švankmajer meno apprezzava tra le sue.
Il più rappresentativo e definitivo lavoro di Jan Švankmajer. Il suo opus magnus. Nel 1992 realizza Food – Cibo – un corto da 17 minuti, strutturato in tre capitoli: colazione, pranzo e cena. Un saggio socialista sulla relazione tra razza umana e cibo, ma anche sulle relazioni umane tra uomini e donne e persone di diverse estrazioni sociali.
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