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Scorsese racconta Scorsese: Shutter Island

Martin Scorsese ha ormai costruito la formula perfetta di ibridazione tra blockbuster e film d’autore, arrivando all’ennesimo filmone con Shutter Island.

Dopo aver vinto un’oscar per la regia per il suo capolavoro The Departed, Martin Scorsese ritorna ad imbucarsi nel mondo estraneo al cinema, prima di farci ritorno in grande stile. Ma ogni sua piccola variazione lo stimola ancora di più e lo sposta verso una rotta che avrebbe potuto anche non prendere mai. E per fortuna, il vento lo spinge lentamente lontano.

Diversi progetti con poca risonanza. Nel 2007 il maestro gira il cortometraggio muto The Key to Reserva, una pubblicità incredibile del vino Freixenet. L’anno successivo torna ad occuparsi di musica e lo fa mettendo insieme l’esibizioni dal tour A Bigger Bang dei Rolling Stones in un documentario dal titolo Shine a Light. Due anni dopo gira A Letter to Elia, sul grande regista – e pessimo uomo – Elia Kazan. Poi, il ritorno al cinema.

Shutter Island

Tratto dal romanzo omonimo di Dennis Lehane, adattato poi da Laeta Kalogridis, Shutter Island è il 21esimo film uscito al cinema del maestro Martin Scorsese e la sua quarta collaborazione con Leonardo DiCaprio, che, oltre a lui, ripropone la solita squadra con Robert Richardson alla fotografia, Thelma Schoonmaker al montaggio e Robbie Robertson alla colonna sonora.

La storia segue due ufficiali federali degli Stati Uniti – DiCaprio e Mark Ruffalo – che sono inviati congiuntamente a Shutter Island, un’isola dove si erge l’ospedale Ashecliffe, nel quale sono tenuti in stato di detenzione i rei con infermità mentale. I due si trovano lì per investigare sulla scomparsa di tale Rachel, una paziente che aveva annegato i suoi tre figli. La nuova coppia sarà guidata dai dottori Cowley e NaehringBen Kingsley e Max von Sydow – in un intricato labirinto di prove apparenti e reali, che li condurrà ad una scoperta devastante.

Una follia contagiosa

Il corto The Key to Reserva – di cui abbiamo accennato prima – si apre sulla premessa di essere una ricostruzione di un corto irrealizato del grande Alfred Hitchcock. Evidentemente, questa volontà di omaggiare il maestro della suspense non ha lasciato Scorsese. Shutter Island è un thriller psicologico di Hitchcock che incontra un noir di Otto Preminger.

La chiara componente orrorifica rende questo il primo progetto dichiaratamente horror di Scorsese – già aveva dato un assaggio in qualche sequenza di Fuori orario – e la fonte dalla quale attinge è chiara ed evidente, da Il gabinetto del dottor Caligari a Il dottor Jekyll. Due anime che convivono in una persona e bisogna trovare il baricentro. Ma la follia si dilaga come un virus, che entra sotto la pelle e ci lascia lobotomizzati.

Nessuno parla, nessuno ascolta

Un castello abbandonato in un’isola sperduta in una mare nero ed in tempesta. La scenografia di Dante Ferretti – orgoglio italiano ed alla sua settima collaborazione con il regista – è impeccabile e sembra in costante movimento, come se cambiasse ogni volta che la si guarda per la seconda volta. Tutto quello che circonda i personaggi parla realmente più di quanto loro riescano effettivamente a fare.

Ma nessuno riesce a capire. I mobili, il pavimento, gli oggetti, sono tutti punti interrogativi avvolti in un’enigma. Un paradosso, molto particolare da trovare in un film d’epoca – si fa per dire. Comprendere non significa semplicemente ascoltare. E niente che esce dalla bocca dei personaggi sembra essere reale tanto quanto non sembra vero. Pare tutto troppo semplice.

Vivere da mostro o morire da uomo per bene

È impossibile e troppo stupido stare qui a parlare di questo film, senza parlare della sua chiave di lettura. Scorsese si reinventa, ed in un suo film c’è un plot twist, strumento narrativo al quale non era mai ricorso e che spesso risulta forzato o imprescrittibile. Shutter Island funzionerebbe alla grande anche senza il finale strepitoso che possiede.

Con il finale incredibile di questa straordinaria rarità filmografica di Scorsese, ancora una volta, quel ex chirichetto italoamericano chiede nuovamente a sè stesso quale sia linea, sempre se c’è una linea. Bene e male, sacro e profano, di nuovo. E qui, si tratta anche di scegliere se vivere o cessare di esistere. Un momento di sanità buttato nel misto di tutte le delusioni di un mondo malato. Alla fine, non c’è una risposta.

Lorenzo Maulicino

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