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Va' e vedi

Va’ e vedi: Il trauma nel cinema – Sotto la superficie

Dall’infanzia al terrore: Va’ e vedi mostra l’orrore di guerra attraverso gli occhi di un bambino che invecchia in pochi giorni, in anima e in corpo.

Va’ e vedi (1985) di Elem Klimov, nel panorama del cinema bellico, rappresenta uno dei film più spietati e atroci. Un trauma, quello di guerra, già affrontato in questa rubrica con La notte di San Lorenzo (1982). Ma là dove il film dei fratelli Taviani conservava una dimensione favolistica quasi epica, Klimov sceglie l’incubo nella sua forma più pura.

Ambientato durante l’invasione nazista in Bielorussia, Va’ e vedi segue Florya, un bambino che si unisce alla Resistenza sovietica e che in un batter d’occhio sprofonda in una vertigine di terrore. La guerra lo attraversa, facendogli perdere ogni traccia e ogni connotato della propria infanzia. Un trauma individuale e collettivo, che attraverso una regia lirica e teatrale, si insinua nello spettatore.

Va’ e vedi, la guerra che consuma

Florya ha solo tredici anni e il suo entusiasmo viene spezzato immediatamente dalla realtà crudele che lo circonda. Ogni cosa si decompone e viene rasa al suolo: villaggi, famiglie, umanità. Niente viene risparmiato, i bambini vengono brutalmente uccisi e gli adulti annientati psicologicamente. Il cambiamento di Florya è emblematico: alla fine del film ha lo sguardo di chi ha già visto tutto il peggio della vita e la pelle di un anziano. Il suo cambiamento simboleggia la morte dell’anima, dello spirito e dell’innocenza. Non è una crescita che segue il cambiamento naturale del tempo, ma il risultato del trauma subito dalla violenza. Non piange, non urla, non si sconvolge, ormai non prova più nulla.

Va' e vedi

Va’ e vedi, un teatro tragico

In Va’ e vedi, i personaggi guardano dritto in macchina, come un atto d’accusa. Lo spettatore si sente impotente dinnanzi a ciò che sembra un teatro di denuncia e memoria. Sembra l’Apocalisse: un mondo che muore inesorabilmente, accompagnato da pianti e distruzione. Alcune scene sono intrise di lirismo, Klimov abbandona il realismo a favore di un coro tragico, ossia una comunità unita nel dolore. Così la realtà si fonde con la visione, trascendendo il tangibile. Glasha, una ragazza che affianca Florya per parte della pellicola, appare come una figura tragica. Mentre, in una scena emblematica, una comunità piange e si raduna attorno a Florya, quasi come a seguire un copione allegorico, incarnando la sofferenza collettiva.

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Il paesaggio sonoro della guerra

C’è un suono che accompagna gran parte del racconto. Un suono che distorce, amplifica e rende insopportabile ciò che lo sguardo vede. Klimov, il compositore Oleg Grigor’evič Jančenko e il sound designer Viktor Mors creano un paesaggio sonoro di frequenze disturbanti, che nei momenti di tensione diventa sempre più caotico e crescente. Suoni ovattati, suoni metallici e ronzii rendono la pellicola un’opera d’avanguardia capace di farci immergere nello stato mentale di Florya. Così, il suono diventa un ulteriore livello narrativo che racconta il disfacimento del ragazzo.

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Tra bellezza fragile e violenza

Nel bel mezzo dell’inferno in Terra, Va’ e vedi regala piccoli istanti di un’umanità che ancora resiste. Sono frammenti di una bellezza struggente quanto fragile. La meraviglia di una pioggia improvvisa che bagna la pelle, l’arcobaleno che illumina Glasha e Florya. Attimi di serenità effimera che creano un contrasto violentissimo. Come se la natura fosse l’unica custode di un mondo ormai lontano. Ma che tuttavia, viene distrutta dalla violenza della guerra che dilaga, contaminando anche ciò che c’è di più puro.

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