Festeggiamo Francis Ford Coppola esplorando il suono rivoluzionario de La conversazione. Un focus sul suono che inganna e sul vortice di paranoia e realtà.
Oggi, 7 aprile, Francis Ford Coppola compie 86 anni. Regista monumentale, autore di film colossali quali Apocalypse Now, Il Padrino e il più recente e discusso Megalopolis.
Nel 1974 firma una delle sue opere più significative: La conversazione, un thriller che gli valse la Palma d’oro al Festival di Cannes dello stesso anno.
Sin da subito, il regista ci guida in un territorio dove il suono prende il sopravvento, svelando una verità nascosta ancor prima che l’investigatore privato Harry Caul (Gene Hackman) se ne renda conto.
Harry Caul è un esperto di intercettazioni, e tutti lo sanno. Un magnate gli commissiona una registrazione a Union Square, San Francisco.
“He’d kill us if he got the chance”, pronuncia la moglie del magnate, in compagnia del suo presunto amante.
Da quel momento, Caul diventa ossessionato dal desiderio di comprendere il significato di quella frase. Tuttavia, più la ascolta, più si allontana dalla verità. In un certo senso, ogni ascolto lo fa sprofondare nel vortice della paranoia. Il suo talento più grande – il saper ascoltare – assume un duplice volto: è salvezza quanto nemesi.
La conversazione registrata si trasforma lentamente in una prigione della mente. Il suono, che dovrebbe chiarire i dubbi e far scoprire la verità, diventa invece il protagonista manipolatore che confonde.
Il sound design curato da Walter Murch non si limita ad arricchire la narrazione, ma ne è il cuore pulsante, l’artefice. Interferenze, distorsioni e frammenti si insinuano nella mente di Harry, rendendogli impossibile una quotidianità serena, contaminando persino i suoi sogni. In una scena chiave, la donna intercettata a Union Square gli appare in sogno. Con la sua presenza, il suono si distorce e sfocia in echi che prendono il sopravvento. Questi sussurrano una verità inaspettata: ciò che Harry crede di aver compreso è completamente errato.
Il film indaga il concetto di verità attraverso l’ascolto. Tradizionalmente, il cinema ha privilegiato l’aspetto visivo; tuttavia, Coppola ribalta questa convenzione. Stavolta è il suono a contenere la soluzione dell’enigma. Infatti, da quando Harry ha udito la frase, la sua coscienza ha tratto una conclusione: il magnate vuole uccidere la moglie e l’amante.
Ma la sua certezza crollerà in modo vertiginoso, trasformandosi nella sua condanna. Così, l’unico briciolo di potere che abbia mai posseduto – il solo appiglio in un’esistenza vuota – si dissiperà tra silenzi e note amare.
Coppola ci regala una parabola tragica e malinconica: quella di un uomo che ha potere sulle vite altrui, ma nessun potere su sé stesso.
Alla fine, rimane una sola certezza: Harry Caul è probabilmente l’uomo più solo del mondo. Lo accompagnano solo il silenzio assordante che pervade la sua esistenza e le note malinconiche di David Shire.
L’ossessione per il controllo e la paura di essere a sua volta sorvegliato lo rendono cieco – o meglio, sordo – dunque vittima del suo stesso sistema. Lo ritroviamo in una casa spoglia, distrutta da lui stesso, con in mano soltanto il suo sax. Le note stonate fanno emergere una realtà crudele: Harry è un’anima sola ed errante, perduta non solo nel mondo circostante, ma anche dentro sé.
In conclusione, Francis Ford Coppola si conferma un regista più attuale che mai. Abitiamo un’epoca in cui la sorveglianza costante è la norma. Le nostre vite sono monitorate, archiviate e analizzate. Inoltre, viviamo nell’illusione di poter sapere tutto degli altri. Ma Coppola ci avverte con oltre mezzo secolo d’anticipo: a volte, ciò che vediamo o sentiamo è solo ciò che vogliamo credere. Tutto è ingannevole.
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