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Biopic

Il problema dei biopic musicali

Se esiste un filone cinematografico seguito tanto quanto disprezzato, è sicuramente il genere dei biopic musicali, pieni di problemi dalle premesse.

Con la recente uscita del tanto atteso film su Bruce SpringsteenSpringsteen: Liberami dal nulla – si torna nuovamente a parlare dei biopic, ma non in generale, di quei film biografici musicali. Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito ad un’incredibile aumento quantitativo di film su artisti musicali, cantautori e gruppi.

Il genere sembra destinato potenzialmente a subire lo stesso trattamento ultimamente riservato, a livello di giudizio pubblico e saturazione, al genere supereroistico dei cinecomic. Proprio come quest’ultimo, il genere dei biopic musicali si appresta ad andare incontro prossimamente ad un universo condiviso come quello che Sam Mendes sta programmando sui Beatles. Insomma, ancora non si capisce bene la direzione artistica di tutto questo.

Chi è la vera star dei biopic?

Il punto narrativo centrale di questa categoria di film è sicuramente il mondo dei personaggi che si seguono. Ovvero, al centro di Bohemian Rhapsody c’è Freddie Mercury, per Back to Black è Amy Winehouse, per One Love è Bob Marley e così via. Di conseguenza, tutte queste pellicole si trasformano in un semplice studio di personaggi che, molto spesso, in realtà, si trasforma

Quindi, sembra che i biopic di questo tipo servano per attrarre attraverso il racconto di una celebrità acclamata sia come piattaforma di lancio per l’attore protagonista al suo interno, che annichilisce qualsiasi altro possibile punto di forza. Austin Butler diventa Elvis Presley, Timothée Chalamet diventa Bob Dylan e Jeremy Allen White diventa il Boss. Si sovrappongono attore e personaggio e si confondono, proprio come il Robbie ClarkHeath Ledger di Io non sono qui, l’attore che non sa più chi è la vera stella.

Una parentesi

Poche eccezioni riescono a prendere la storia personale, privata e sconosciuta di un personaggio inversamente popolare, riuscendola a rendere universale e che riesca a prevaricare l’interessa di fan e patiti. Anche il recente film di Scott Cooper sul frontman della E Street Band, seppur con parecchi problemi, riesce a prendere un periodo specifico e trarne un’interessante parabola sulla depressione ed il rapporto con i propri traumi personali.

Uno dei pregi di quest’ultimo film è anche il suo autolimitarsi in una parentesi della vita e della carriera di Springsteen, senza dilungersi e diluire. In questo modo, riesce a calibrare la storia che vuole raccontare con il suo sottofondo tematico. Ma la maggior parte, da A Complete Unknown a Elvis, ci da uno specchio più o meno approssimativo di una storia.

Biopic

Musica sopra le righe

Si potrebbe anche dire che quello cui andiamo a criticare sia in realtà un problema più diffuso in generale nei biopic, che siano essi musicali o meno. Ma, ovviamente ed assolutamente, non siamo sullo stesso campo da gioco. Realizzare un’opera su un’artista famosa si traduce necessariamente in un interesse diffuso che gli dia spolvero e luce. Esistono pochissimi biopic musicali su personaggi sconosciuti.

Questo si tramute automaticamente in un’ennesima occasione per l’industria musicale di sfruttare al massimo i propri artisti e trasformarli potenzialmente in playlist viventi, lievemente posate su un velo di recitazione e preparazione. Di fatti, la maggior parte degli artisti – o le loro case discografiche – sembrano volere dei film su sè stessi unicamente per poi poter far uscire un album, una collection e così via. Strano che ancora non ci sia un film su Taylor Swift.

Oltre all’etichetta

Ovviamente, tutto quello scritto sopra perde senso rispetto al potenziale problema principale di qualsiasi opera o lavoro: se chi sta lavorando al progetto non sa cosa sta dicendo, è molto male. Se chi sta lavorando al progetto è un’incapace, anche peggio. Ma questa è una retorica valida per l’intero apparato artistico cinematografico.

Nonostante la persistenza di queste problematiche – ed i giudizi negativi da pubblico e critica – i biopic musicali sembrano la moda del momento e nessuno vuole smettere di farli, nè tantomeno di vederli. Da Michael del mediocre Antoine Fuqua sul re del pop e You Should Be Dancing di Ridley Scott sui Bee Gees a Je so’ pazzo su Pino Daniele.