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Marcello Mastroianni, 100 anni dell’antidivo per antonomasia

Marcello Mastroianni, 100 anni dell’antidivo per antonomasia

Cento anni fa oggi nasceva Marcello Mastroianni, il divo non divo che ha segnato e definito una generazione.

È notte sulla fontana di Trevi. Una ragazza, giovane, bella, con i biondi capelli fluenti e un vestito nero, ride. Si avvicina alla fontana e, libera di ogni inibizione, forte di quell’indomita incoscienza che solo la gioventù sa dare, vi si immerge. Alza lo sguardo, guarda l’uomo davanti a sé e dice: “Marcello, come here!”.

Quella ragazza straniera, bella ed impavida, è l’attrice Anita Ekberg. Quell’uomo, in giacca e cravatta, dai lineamenti pronunciati e la voce profonda, invece, è l’attore Marcello Mastroianni. Sono sul set de La dolce vita, film del regista Federico Fellini. Non lo sa ancora Mastroianni, ma quel film lo consacrerà a livello internazionale. Farà di lui il divo per eccellenza, l’emblema del cinema italiano nel mondo.

L’attore pigro

Mastroianni nasce a Fontana Liri – nel Lazio – nel 1924, un ciociaro, come lui stesso si è sempre definito. La data di nascita – a differenza dell’anno e del luogo – è più insidiosa. Come dichiarato dallo stesso in un’intervista con Pippo Baudo: “Sono nato il 26 settembre 1924, ma sono stato registrato il 28. Finisce sempre che festeggio due volte”.

Il padre, fratellastro del famoso scultore Umberto Mastroianni, fa il falegname e, quando gli affari iniziano ad andare male, la famiglia si trasferisce a Torino, dove vivranno nelle case popolari di via Nicola Fabrizi: “Vivevamo 13 persone in quattro stanze”, confesserà l’attore. È proprio Torino che farà da sfondo al suo primo incontro con il cinema: a sei anni vede il suo primo film, il kolossal Ben Hur.

Nel ’33 si trasferiscono di nuovo, questa volta a Roma. Consegue il diploma da perito edile e si barcamena in differenti lavori: prima come disegnatore tecnico per il Comune di Roma, poi come disegnatore per l’Istituto Geografico Militare di Firenze.

“Io questo lavoro non l’ho cercato, sono loro che mi hanno chiamato”, dirà in un’intervista. Vero a metà, forse. I primi lavori nel cinema risalgono alla giovinezza, con comparse in film come Marionette, Una storia d’amore e I bambini ci guardano.

È al termine della Seconda guerra mondiale, nel 1945, che decide di tentare nuovamente la carriera cinematografica e inizia a prendere lezioni di recitazione (ne condividerà una con Silvana Mangano).

È proprio Luchino Visconti, con cui collabora per più di dieci anni nella Compagnia Teatrale Universitaria, che parlerà della sua pigrizia o indolenza, elevata a concezione di vita e che gli permetterà di aderire al personaggio guardandolo un po’ dall’esterno, con una certa dose di distanza; una pigrizia usata come uno strato di difesa che, tuttavia, non gli impedisce di essere sempre disponibile.

A proposito del suo periodo teatrale, Mastroianni dirà di aver avuto fortuna, di aver avuto un ingresso privilegiato, da una cosiddetta porta d’oro. Visconti è stato colui che modernizzò e rivoluzionò il teatro in Italia, e la compagnia teatrale era grande. Di contro, dirà che gli spettacoli, essendo grandi produzioni, si limitarono a calcare i teatri delle grandi città, senza mai arrivare in provincia: pochi si ricordano di lui anche per la sua carriera teatrale.

Il vero debutto cinematografico avviene con Caccia all’uomo, film del 1948: qualche primo piano e poi la morte davanti al plotone d’esecuzione. All’inizio, come tutti gli attori dell’epoca, Mastroianni viene doppiato; si riappropria della sua voce solo con Cronache di poveri amanti, film drammatico del 1954 diretto da Lizzani.

La vera consacrazione arriva però con il film di Mario MonicelliI soliti ignoti del 1958. Mastroianni, che fino a quel momento aveva recitato in molte commedie, viene scelto come contrappeso a Vittorio Gassman, che interpreta l’altro protagonista, in quanto i produttori non gli davano credito come attore comico. Il resto è storia: è la nascita della cosiddetta commedia all’italiana e fu un successo.

Marcello Mastroianni, i 100 anni dell’antidivo per antonomasia

Marcello Mastroianni e Sophia Loren: il binomio indimenticabile

Marcello Mastroianni e Sophia Loren si incontrano per la prima volta sul set di Cuori sul mare nel 1950. Il primo film insieme come coppia arriva qualche anno dopo: è il 1954, e Blasetti dirige l’adattamento del racconto Fanatico di MoraviaPeccato che sia una canaglia. Il film è una spiritosa commedia di caratteri e lancerà la coppia divistica Mastroianni-Loren.

Insieme gireranno più di dieci film, in un arco che copre più di vent’anni. Una vita insieme, si potrebbe dire. Al cinema si destreggiano in diverse storie, senza mai tirarsi indietro: ora sono una coppia comica, ora una drammatica.

In Ieri, oggi e domani si alternano in tre storie differenti: prima una coppia che cerca di contrastare l’arresto della donna tramite continue maternità; passando poi per una coppia di estrazione sociale diversa, da una parte lei, una donna benestante, dall’altra lui, un uomo di modeste origini; e infine una coppia composta da una squillo e dal suo cliente più fidato. È diventata cult la scena di quest’ultimo capitolo, quella dello spogliarello del personaggio di Adelina, interpretata proprio dalla Loren.

Recitano poi insieme in un’altra commedia, Matrimonio all’italiana, nel 1964. È con il film I girasoli che, finalmente, la coppia abbandona i toni della commedia per offrire invece un’interpretazione di intenso realismo.

È con Una giornata particolare, invece, che la maturità si congiunge con una piena realizzazione artistica. È il 1977, ed entrambi, Mastroianni e Loren, ormai sono da anni divi riconosciuti a livello internazionale. Il film si presenta come una storia dolce a tratti, il racconto di due emarginati sotto il regime fascista: da una parte la Loren, che in quanto donna può solo essere madre e occuparsi del focolare domestico; dall’altra Mastroianni, che interpreta un omosessuale, un uomo costretto a vivere nell’ombra a causa delle leggi razziali.

Sono stati per tutta la vita, fino alla morte di lui e anche oltre (la Loren, tutt’oggi, ne parla come del migliore amico che abbia mai avuto), insieme, legati da quel filo rosso che li ha uniti non solo sul grande schermo, ma anche nella vita privata. Legati, ma sempre pronti a non prendersi sul serio, a battibeccare e rimbeccarsi l’un l’altro, come dimostra questa intervista di Dick Cavett.

“È un amore eterno, che non è mai stato consumato”, sono le parole dello stesso Mastroianni che cercano di definire quell’amicizia profonda che li ha legati per tutta una vita.

Marcello Mastroianni, i 100 anni dell’antidivo per antonomasia

Mastroianni e Fellini, Fellini e Mastroianni

Impossibile parlare dell’uno senza parlare dell’altro; lo stesso Fellini dirà: “Marcello Mastroianni sono io”.

Il primo incontro tra i due avviene sul set del film La dolce vita del 1960. Fellini è alla ricerca di un attore che abbia una faccia qualunque, un volto anonimo; rifiuta Paul Newman proprio perché ha un volto troppo importante. “La faccia qualunque sono io”, manderà a dire Mastroianni, già in lizza per la parte.

La dolce vita segna profondamente e irrimediabilmente il panorama cinematografico italiano e internazionale: se all’estero viene elogiato come un capolavoro, nel Bel Paese alcuni benpensanti lo ostracizzano. Eppure, nonostante questo, in breve tempo diverrà il film capace di evocare l’Italia e l’italianità ancor più e ancor meglio della pizza, degli spaghetti e della mafia, come scritto da Antonio Costa.

Inizia così il sodalizio tra Mastroianni e Fellini, l’uno l’alter ego dell’altro; prosegue poi con il film , in cui Fellini sceglie proprio l’attore per rappresentare una caricatura di sé: il protagonista è un regista in cerca d’ispirazione, e lo spettatore viene trascinato all’interno di quel suo mondo interiore onirico. Poi, ancora, con La città delle donne e Ginger e Fred.

Il loro è stato, ed è tutt’oggi, nonostante la scomparsa di entrambi, un legame indissolubile, dove spesso tracciare i confini tra l’uno e l’altro risulta difficile. Lo stesso Mastroianni, quando si ritroverà sul set del film Intervista, dirà: “Lui è il Fellini da giovane? Ma non potevo farlo io? Finché mi reggo in piedi…”.

Fellini, d’altro canto, avrà sempre parole positive per il suo alter ego cinematografico, dove ogni intervista risultava essere un’occasione per lodarne le qualità. La sua preferita? La totale fiducia che Mastroianni dimostrava a chi lo dirigeva, affidandosi completamente alle mani del regista, lasciandosi in qualche modo plasmare, aderendo totalmente al personaggio.

Il latin-lover. O forse no.

Ci sono immagini che rimango impresse nell’immaginario collettivo. Se guardando la fontana di Trevi, a chiunque, di qualsiasi nazionalità, sobbalza subito in mente l’immagine di Anita Ekberg e Marcello Mastroianni; impossibile non pensare all’attore romano senza farsi venire in mente la scena di 8 ½ in cui è in una tinozza, circondato da donne; una sorta di harem nostrano, con lui, Mastroianni, nei panni di un novello Rodolfo Valentino (che, tra l’altro, interpreterà anche a teatro).

Proprio nello spettacolo teatrale Ciao Rudy del 1966, come Rodolfo Valentino canterà: “[…] piacere alle donne, ma come si fa, questa aria indolente da furbo innocente che effetto farà […]”.

Mastroianni è l’emblema del latin lover; eppure, rifiuterà sempre questa definizione. Dirà: “Io latin lover? Una cosa da impazzire di stupidità e poi mi involgarisce… Ma li avete visti i miei film? A 72 anni ancora scrivono latin lover. E che sono un fenomeno da baraccone?”.

Cercherà in tutti i modi di scrollarsi di dosso quell’appellativo che reputa volgare, come ammesso da lui stesso: “Per scrollarmi di dosso questa storia del latin lover subito dopo La dolce vita ho fatto un impotente nel Bell’Antonio. E poi un laido cornuto in Divorzio all’italiana. Ho fatto l’uomo incinto e ho fatto l’omosessuale in Una giornata particolare”.

Non ci riuscirà, però. Il suo è un fascino gentile, sensibile come definito da molti. È il fascino intramontabile di chi il successo non lo ha mai cercato veramente, di chi rimane sempre sé stesso, e in cui in quel sé stesso convergono caratteristiche come la sensibilità, la gentilezza e la disponibilità.

Di certo, non aiutarono a smarcarsi dalla nomina di latin lover, le sue grandi (e numerose) storie d’amore. “È che io vorrei fare felici tutte, è quella la mia pretesa. Ci sentiamo furbi, ma quando ne vuoi troppe alla fine non ne hai nessuna. È che siamo generosi: delle vittime.”

Soffre nel lasciare le donne, quindi le lascia il meno possibile. Il primo amore importante è con Silvana Mangano, conosciuta proprio durante le lezioni di recitazione.

Sposa poi, nel 1950, l’attrice Flora Carabella, e l’anno successivo nasce la loro prima figlia, Barbara Mastroianni. Le continue infedeltà di lui – la più nota quella con Faye Dunaway, conosciuta sul set di Amanti – li portano a una separazione di fatto nel 1970, senza mai ufficializzare il divorzio. Nonostante tutto, mantengono un rapporto di amicizia fino alla fine.

È nel 1970 che, a una cena a Parigi nella casa di Roman Polanski, Marcello Mastroianni incontra per la prima volta Catherine Deneuve. L’amore, però, sboccia l’anno successivo, sul set del film Tempo d’amore.

Da subito la loro è una relazione sotto i riflettori: sono i due divi per antonomasia, ed entrambi ancora sposati. Cercano di nascondere il loro amore come possono, ma la loro storia viene alla luce con la nascita di Chiara nel 1972. È proprio qualche anno dopo che il loro amore giunge al termine.

La Deneuve lascia il marito, mentre Mastroianni mostra una certa titubanza (nonostante il divorzio fosse ormai legale anche in Italia). Questo, unito a profonde differenze caratteriali – lui un pigro cronico, lei una donna attiva e intraprendente – li porterà alla separazione.

Un anno dopo la rottura, nel 1976, incontra la regista Anna Maria Tatò, che resterà al suo fianco fino alla morte. Lei lo ricorderà girando, con lui e su di lui, il documentario Mi ricordo, sì, io mi ricordo.

Il simbolo di un’epoca

“Non vorrei apparire snob, ma apprezzo molto il termine che usano i francesi: per dire recitare, loro dicono jouer, che in italiano sarebbe giocare. Questo è un mestiere meraviglioso: ti pagano per giocare”, dichiarerà in un’intervista l’attore. E, nonostante la sua proverbiale pigrizia, Mastroianni gioca molta, gioca, addirittura, in più di 150 film.

Diventa un simbolo mondiale grazie alla sua proverbiale gentilezza, alle sue capacità camaleontiche, alla sua ironia ed autoironia – a testimonianza le apparizioni a Studio Uno insieme a Mina – e sì, anche grazie a quella sua faccia del tutto anonima, quella faccia da uno qualsiasi.

Mastroianni muore a Parigi il 19 dicembre 1996 a causa di una lunga malattia. I funerali, tenutisi a Parigi, sono brulicanti di persone. Tutti vogliono porre omaggio a colui che è stato l’emblema dell’italianità in un binomio dai contorni sfocati, in cui l’uno si sovrapponeva all’altro.

Insieme a Vittorio Gassman, nel 1996, qualche mese prima della morte, si fa intervistare dal direttore de La Repubblica, Luigi Scalfaro. I due attori che hanno segnato un’epoca sono anziani, pieni di rughe; l’intervista suona come un tirare le somme, come si può fare solo con la consapevolezza che l’età adulta (o l’anzianità) sanno dare. Tra argomenti come amore e teatro è, appunto, quello della vecchiaia che ritorna più spesso, con urgenza. E se è difficile, per i due attori, accettarla quella vecchiaia, l’essere chiamati Maestri (ma Maestro di che?, dirà Mastroianni), alla fine il pensiero va proprio a come renderla più sopportabile.

E così, i due, si immaginano una casa di riposo per vecchi attori e vecchi registi, per giocare tra di loro al gioco dell’attore, del regista, di quelli che sanno rompere perché vorrebbero sempre tutto, perché vogliono a tutti i costi restare bambini. Con loro De Sica, Fellini, John Barrymore, Charles Laughton, Gary Grant, Gary Cooper e Clark Gable. Anche Sordi, ma i due attori sono dubbiosi, forse lui non si presenterebbe.

È bello poterseli immaginare così. Tutti insieme, a parlare di quello che hanno sempre amato: di cinema.