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Maria

Pablo Larraín torna a Venezia e noi non vediamo l’ora

Il suo Maria è uno dei film più attesi del programma di Venezia 2024. Dopo Jackie (2016) e Spencer (2021) Pablo Larraín torna a raccontare un’icona del ventesimo secolo. Cosa dobbiamo aspettarci?

Il regista cileno, classe 1976, è uno dei nomi più interessanti della cinematografia contemporanea. Dopo l’esordio nel 2006 con Fuga ha realizzato diverse pellicole legate alla storia politica e culturale del suo paese. Il suo primo biopic è, infatti, Neruda dedicato al poeta cileno protagonista anche del capolavoro di Michael Redford Il postino (1994).

Pablo Larraín ha dimostrato, però, di muoversi benissimo anche in contesti culturali lontani dal suo Cile, e soprattutto di essere capace di raccontare in modo inedito figure femminili che hanno fatto la Storia. Con Jackie e Spencer realizza due biopic che oltrepassano la dimensione documentaristica, e restituiscono uno spaccato puramente umano di due donne. Da un lato la first lady statunitense Jacqueline Kennedy, dall’altro la principessa Diana Spencer.

Pablo Larraín: il biopic come una lente d’ingrandimento

Sia in Jackie che in Spencer Larraín non racconta tutti gli eventi chiave della biografia delle due protagoniste. Sceglie, invece, pochi giorni ma significativi dal punto di vista psicologico ed emotivo. Nel caso di Jacqueline Kennedy sono i giorni che trascorrono dall’omicidio del marito, al suo funerale. Per Diana, invece, le vacanze di Natale a Sandringham House del 1991, durante le quali decide di separarsi dal principe Carlo.

Focalizzandosi sul racconto di poche giornate, Pablo Larraín ci permette di accedere all’interiorità di due figure pubbliche. Sceglie, non a caso, due momenti dolorosi. Queste due donne bellissime, amate dal mondo, icone di stile, vengono scrutate in modo inedito.

In Jackie c’è il racconto del lutto e di tutto ciò che ne segue. Natalie Portman, in una grande interpretazione, coglie lo spaesamento della donna. I suoi occhi sono increduli di fronte all’orrore a cui ha dovuto assistere, e all’indifferenza di chi le sta intorno. Vorrebbe salvare il corpo del marito ma soprattutto la sua immagine e il suo ricordo.

Pablo Larraín

La Lady Diana presentata in Spencer è, invece, una donna già al limite, emotivamente provata. Kristen Stewart, che offre un’ottima prova, nei silenzi racconta il disagio e l’oppressione che Diana ha vissuto all’interno della royal family. Dolorosamente realistico anche il racconto della bulimia della principessa. Spencer a suo tempo fu definito quasi un horror, e in effetti è un film claustrofobico, tanto nelle inquadrature quando nel montaggio.

Lo stile di Pablo Larraín

Il regista cileno può vantare un’estetica elegante e soprattutto riconoscibile. La macchina da presa è a servizio non tanto del racconto dei fatti, quanto della riproposizione delle sensazioni dei protagonisti. Alterna perlopiù due modalità di ripresa.

Innanzitutto, si serve spesso del campo lungo. Con Jackie e Spencer Larraín si muove in due spazi grandi e simbolici come la Casa Bianca e Sandringham House. Per Jackie un luogo che ha amato e che ha contribuito ad arredare, mentre per Diana un luogo che è quasi letteralmente una prigione. Con la macchina in movimento segue le due protagoniste dandoci il senso di cosa vuol dire attraversare quelle stanze. Contemplativa la camminata di Jackie, nervosa e traballante quella di Diana.

Ancora più spesso si serve del primo e del primissimo piano. Si tratta ovviamente del modo più immediato per scrutare le emozioni attraverso i volti delle due attrici. Apice di questo lavoro è forse la scena in cui Natalie Portman, allo specchio, lava dal suo viso il sangue del marito. La colonna sonora si interrompe e si sentono singhiozzi disperati che, uniti alle lacrime ben visibili, condannano lo spettatore alla condivisione di quel dolore.

Sempre puntuale, inoltre, è l’utilizzo della colonna sonora. Se in Jackie è mesta e accompagna il lutto, in Spencer ha un ruolo determinante nella creazione dell’atmosfera asfissiante. Gli archi, in melodie mai consolanti, dipingono il tormento della donna, e il suo desiderio soffocato di libertà.

Jackie e Spencer

Per cogliere al meglio l’essenza dei due film è interessante analizzare i titoli. Per la first lady Larraín sceglie un diminutivo del nome che depotenzia il cognome che l’ha resa celebre. Nel momento in cui Kennedy muore, la donna non piange il presidente degli USA, ma suo marito.

Jackie vive lo scollamento tra la dimensione pubblica, che la costringe a una serie di convenzioni, e il dolore privato. Ed è questo dolore che Larraìn ci permette di scrutare. Lontana dai riflettori la donna è quasi completamente sola. Sola deve ripulirsi del sangue del marito che l’ha travolta con lo sparo. E sola deve provare a spiegare ai suoi figli che non rivedranno mai più il padre. In questa solitudine, inoltre, si svelano anche le crepe di un matrimonio che non era poi così fatato.

Pablo Larraín

La logica, nel caso di Spencer, è la stessa, ma c’è una differenza sostanziale. Nell’immaginario collettivo la principessa del Galles ha sempre risposto al nome “Diana”. È così che il mondo l’ha conosciuta. Pablo Larraín allora ha l’intuizione di fare simbolicamente un passo indietro. Il cognome da nubile di Lady D rappresenta il suo desiderio di ritorno alle origini, a Diana bambina, e in generale alla sua parte più vera e profonda.

L’operazione sembra ripetersi con questo nuovo racconto biografico. Se Maria Callas è per il mondo intero “la Callas”, allora Pablo Larraín ci parlerà di Maria.

E ora Maria Callas!

Alla luce dei due lavori precedenti non può che esserci una grande attesa per questo terzo “capitolo”. Il regista ammette di aver unito due sue grandi passioni: il cinema e l’opera lirica. E lo fa con quella che è forse la più celebrata tra le cantanti d’opera: Maria Callas.

Vissi d’arte, vissi d’amore è il titolo di una delle arie più famose della Tosca di Giacomo Puccini. E sono proprio l’arte e l’amore ad aver raccontato, attraverso la cronaca, la vita del soprano greco. La sontuosa carriera operistica e il sodalizio con Luchino Visconti, ma anche l’amore sofferente per l’armatore (greco come lei) Aristotele Onassis.

I due si innamorarono quando erano entrambi ancora sposati. Lui cinquantatré anni, lei trentasei. La loro storia andò avanti per dieci anni, tra alti e bassi. Tutt’altro che roseo questo legame fu messo a dura prova anche dalla morte di un figlio a poche ore dalla nascita, Omero. A chiuderlo definitamente fu Onassis, che scelse di sposare proprio Jacqueline Kennedy, appena rimasta vedova dopo l’omicidio del 1963.

Tanta la passione iniziale e tantissimo il dolore in cui Maria Callas sprofondò dopo questo abbandono. Ritiratasi nel suo appartamento parigino, morirà nella capitale francese giovanissima, a cinquantaquattro anni.

Maria: il tramonto della Divina

Pablo Larraín ancora una volta sceglie un momento preciso della vita della sua protagonista. In Maria, in particolare, racconterà gli ultimi giorni parigini della Medea di Pierpaolo Pasolini. Sarà una Callas che ha già attraversato, dunque, i grandi dispiaceri della sua vita.

A darle il volto sarà Angelina Jolie che torna al cinema dopo alcuni anni in un ruolo che potrebbe entrare negli highlights della sua già grande carriera. La sceneggiatura è stata scritta da Steven Knight, già autore per Larraìn di Spencer e ideatore di Peaky Blinders. Nel cast Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher, Haluk Bilginer, Kodi Smith-McPhee e Valeria Golino.

Con Jackie e Spencer Larraín è riuscito, a partire da due figure “istituzionali”, a raccontare con sensibilità il privato di due donne. Nonostante un’estetica a volte quasi geometrica ci spinge a sentire dalla loro pancia quello che succede. Entrambi i film toccano tutt’altro che epidermicamente lo spettatore. Inoltre, sia Jackie che Diana, sono spogliate del loro ruolo istituzionale. I loro drammi, il lutto e un matrimonio infelice, sono universali.

Con Maria, in più, Pablo Larraín ha tra le mani non una first lady, né una principessa, ma un’artista. Una donna, dunque, che le emozioni non ha dovuto reprimerle per etichetta, ma piuttosto esprimerle per mestiere. Una donna che non ha subito la celebrità a causa di un matrimonio regale, ma che sul palcoscenico è salita da sola.

Gli ingredienti per un altro grande racconto ci sono tutti. Incrociamo le dita e aspettiamo Venezia 2024.

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