430Views
Passion project, storie di odissee personali
Passion project, letteralmente progetto di passione, è una definizione che sempre più spesso viene utilizzata nel mondo della settima arte. Ma quali – e cosa – sono i passion project?
Per passion project si intendono tutti quei progetti che derivano da una passione profonda dell’autore (che sia un attore o un regista); sono quei progetti a cui non riescono a smettere di pensare, il famoso “prima o poi lo farò“.
Molto spesso i passion project segnano l’inizio di una carriera di successo, ma sempre più frequentemente, ormai, la definizione viene usata in toni quasi dispregiativi per indicare quei progetti che nessuno, eccetto forse il regista stesso, vorrebbe vedere.
Sono progetti in cui registi e attori credono fortemente e che, pur di vederli realizzati, sono disposti a produrli loro stessi e a investire i loro soldi, spesso senza avere un vero e proprio guadagno in ritorno, neanche a livello di botteghino.
Ultimamente si è tornato a parlare di questi progetti grazie all’uscita nei cinema prima di Horizon: An American Saga e, poi, con la presentazione al 77° Festival di Cannes del nuovo film di Coppola, Megalopolis.
Questi sono solo due degli esempi di passion project che costellano la settima arte. Ma, esattamente, quali sono?
Megalopolis
Scontato – o forse no – iniziare questo excursus con il film che ha vissuto nella mente del suo regista per quasi metà della sua vita, o forse anche di più, stando a quanto dichiarato dallo stesso Coppola in una lettera scritta per Vanity Fair: “I semi per Megalopolis sono stati piantati quando da bambino ho visto La vita futura di H.G. Wells“.
Il film, definito da qualcuno come un novello Romeo e Giulietta ma nell’antica Roma (invece che a Verona), è ambientato in una città retro-futuristica, dove due famiglie sono in conflitto a causa di un ideale: usare o non usare il rivoluzionario materiale scoperto? E far così rinascere un impero in declino?
Le due fazioni vedono contrapposti, da una parte, Cesar Catilina (Adam Driver), l’architetto che ha scoperto il rivoluzionario materiale; dall’altra, il sindaco della città, Cicerone (Giancarlo Esposito), che ha posizioni più conservatrici. A unire i due è la figlia di Cicerone, Julia (Nathalie Emmanuel), che si innamorerà proprio dell’architetto.
Come ammesso da lui stesso nella lettera sopracitata, Coppola non ha veramente lavorato alla sceneggiatura per quarant’anni, come spesso è stato scritto; piuttosto, è stato un lavoro di sottofondo, un costante annotare e prendere appunti.
“Mi è già successo tutto con Apocalypse Now“, ha detto Coppola, quando gli è stato chiesto come sia possibile che un maestro come lui sia costretto a ipotecare i suoi vigneti e chiedere prestiti pur di racimolare i 120 milioni necessari per produrre il film.
Ma il regista è famoso per i suoi passion project, anche perché le case di produzione ormai lo ritengono irrimediabilmente inaffidabile. (Ad ogni nuovo film viene lanciata una monetina che decreterà o il successo planetario, o il più fallimentare dei fiaschi).
Inoltre, Coppola ha spesso preferito una narrazione che soddisfi la sua visione del mondo piuttosto che ciò che le case di distribuzione prediligono.
Ci aveva già provato negli anni ’80, quando, stufo delle regole imposte dalle grandi major, che a suo dire limitavano la creatività, fondò la sua casa di distribuzione. Produsse Un sogno lungo un giorno e fu un fallimento sotto tutti i punti di vista.
Eppure, Coppola è ancora qui a riprovarci. E Megalopolis forse rappresenta perfettamente il concetto di passion project; d’altronde, lo stesso regista, in un’intervista, ha dichiarato che Megalopolis è solo il primo gradino di quello che rappresenta il suo vero piano: fondare una città tutta sua. Una megalopolis, per l’appunto.
Horizon: An American Saga
Horizon: An American Saga ha fatto parlare di sé per tutta l’estate. E no, non in maniera positiva. Presentato a Cannes, ha ricevuto critiche contrastanti, a cui si è aggiunto poi il fallimento al botteghino e il rinvio della data d’uscita del secondo capitolo.
Primo progetto di una saga western che comprende quattro film, Horizon, attraverso un arco narrativo che abbraccia quindici anni, si propone di raccontare un momento determinante per la storia degli Stati Uniti d’America: quello della guerra civile e dell’espansione verso ovest.
Il film rappresenta la lettera d’amore del regista ai vecchi western che lo hanno ispirato e influenzato. Un passion project, per intenderci, ancora di più considerando che la sua genesi è durata più di un decennio e che lo stesso Costner abbia finanziato il progetto.
Fedele allo spirito dei passion project, Costner ha più volte sottolineato come il vero successo consista nel rimanere fedeli alla propria visione artistica, un obiettivo che ritiene di aver pienamente raggiunto con questo progetto.
“Sono davvero felice che abbia l’aspetto che dovrebbe avere e sarà così per il resto della sua vita. È davvero importante per me in questa fase. Mi piacerebbe che fosse estremamente di successo? Certo, mi piacerebbe. Al mio ego e a tutti piacerebbe. Ma sono più felice che il film di cui stiamo parlando abbia l’aspetto che desidero”.
Napoleon
Il più bel film mai realizzato. O almeno così è stato definito dallo stesso regista, Kubrick. Potrebbe anche essere definito il film che non fu: rincorso per più di vent’anni, non vide mai la luce.
L’idea per questo monumentale film venne a Kubrick dopo la produzione di 2001: Odissea nello spazio, e i due anni successivi furono segnati da una ricerca che definire minuziosa risulterebbe riduttivo.
Kubrick raccolse più di 500 volumi biografici, contattò esperti napoleonici di Oxford e si documentò su abitudini alimentari e condizioni meteorologiche del periodo. Ordinò, inoltre, ai suoi assistenti di fare sopralluoghi in tutta Europa (tra loro, da citare Andrew Birkin, fratello dell’iconica Jane). Il film sarebbe stato fedele all’epoca sotto ogni aspetto e sarebbe stato girato nei veri panorami che avevano fatto da cornice alle imprese del condottiero, tra Italia, Francia e Jugoslavia.
Il biopic non si sarebbe concentrato solo su un aspetto della vita di Napoleone, ma l’avrebbe affrontata e analizzata nella sua interezza: dalla nascita nel 1769 in Corsica, alla morte nell’isola di Sant’Elena nel 1821. Senza dimenticare quella che Kubrick stesso definì una delle più grandi passioni ossessive di tutti i tempi: la storia d’amore tra Napoleone e Josephine.
Nel 1969 la sceneggiatura fu completata. Poco meno di 150 pagine per racchiudere l’affresco del genio militare che, forse, la storia non aveva visto dai tempi di Giulio Cesare.
Kubrick aveva stilato un accordo preliminare con la casa di produzione MGM, dopo che sia l’Universal che la United Artists si erano tirate indietro. La major, però, decise di abbandonare il progetto: era troppo monumentale, con una stima di costo di circa 40 milioni di dollari (all’epoca, una cifra oggi molto più alta).
A peggiorare la situazione, nel 1970 uscì Waterloo, firmato da Sergej Bondarčuk e prodotto da Dino De Laurentiis, che fu un fallimento clamoroso. Per la casa di produzione era evidente che il pubblico non fosse interessato alla figura di Napoleone, e così Kubrick dovette affrontare la sua di Waterloo.
Non è stata detta ancora l’ultima parola, però, dato che ci sono giunte sia la sceneggiatura originale sia il materiale che Kubrick ha raccolto e conservato per più di vent’anni. Il regista Steven Spielberg, in un’intervista del 2023, ha confermato di star lavorando a una serie televisiva per HBO basata proprio sulla sceneggiatura di Kubrick.
Chissà, forse quel Napoleone malinconico, fragile e umano che Kubrick voleva così tanto mostrare al mondo troverà prima o poi il suo spazio.

L’uomo che uccise Don Chisciotte
La versione di Terry Gilliam di Don Chisciotte ha una storia lunga vent’anni. E non vent’anni semplici, ma costellati di funeste e iperboliche sfortune. Il fatto stesso che nel 2018 sia riuscito a vedere la luce è già di per sé una fortuna, indipendentemente dal successo o meno.
La pirandelica avventura per realizzare il film tratto dal romanzo picaresco di Cervantes inizia nel 2000. Il film avrebbe riadattato la storia classica del romanzo: Sancho Panza, lo scudiero di Don Chisciotte, sarebbe apparso solo all’inizio, per poi essere sostituito da Toby Grosini, un uomo del ventunesimo secolo scaraventato indietro nel tempo, che il protagonista avrebbe confuso per Panza.
Johnny Depp fu scelto per interpretare Toby Grosini, mentre il personaggio di Don Chisciotte fu affidato all’attore francese Jean Rochefort che, per girare la pellicola, imparò l’inglese in soli sette mesi. Il set fu predisposto in una zona desertica a nord di Madrid, vicino a una base militare.
Che cosa sarebbe potuto andare storto? Tutto, apparentemente.
Uno degli investitori si ritirò poche settimane prima dell’inizio della produzione (e così, il budget predisposto fu ridotto); gli aerei della base militare volavano continuamente sopra il set, rendendo le registrazioni degli attori incomprensibili (ma poco male, le avrebbero potute sistemare in post-produzione). Poi la troupe venne colpita da un nubifragio che, oltre a rovinare l’equipaggiamento, cambiò anche il paesaggio caratteristico scelto per il set: le dune erano scomparse. A peggiorare la situazione, l’attore Rochefort fu costretto a tornare in Francia a causa di una malattia. Vari membri della produzione si licenziarono e i legali dei produttori iniziarono a parlare di “atti divini“. La produzione venne cancellata.
Questo fallimento è raccontato nel documentario Lost in La Mancha che, attraverso filmati originali e interviste, ripercorre le vicissitudini della produzione.
Nel 2008 Gilliam tornò a parlare del progetto. La sceneggiatura fu rivista, Depp fu confermato nel ruolo di Grosini e fu cercato un sostituto per Don Chisciotte. Tuttavia, a poche settimane dall’inizio delle riprese, la produzione venne nuovamente cancellata per mancanza di fondi (gli investitori, ancora una volta, si erano tirati indietro).
Poi, nel 2016, finalmente, Gilliam tornò a parlare del suo personalissimo passion project. Le riprese iniziarono l’anno dopo: Depp fu sostituito da Adam Driver e Jonathan Pryce venne scelto per il ruolo di Don Chisciotte. Il budget finale del film fu di soli 17 milioni di dollari.
L’albero della vita
Darren Aronofsky non è mai stato quel tipo di regista che realizza film per compiacere il pubblico, e L’albero della vita ne è un chiaro esempio.
L’epopea del film iniziò nel 2001, quando il regista propose la pellicola alla Warner Bros. L’anno dopo, però, la casa di produzione fu costretta a tirarsi indietro: a causa dei costi sempre più elevati, non era più in grado di sostenere il progetto. Servivano nuovi investitori. Una volta trovati, le riprese del film continuarono a slittare a causa delle continue rinunce da parte degli attori.
Brad Pitt, che era stato indicato fin dall’inizio dal regista come perfetto per il ruolo del protagonista, fu costretto a rinunciare al film perché sarebbe stato girato nello stesso periodo di Troy; Russell Crowe, che fu contattato subito dopo, dovette rinunciare perché impegnato in Master and Commander. La casa di produzione decise quindi di sospendere il progetto.
Fu ripreso due anni dopo, con un budget molto più contenuto rispetto a quello iniziale: 35 milioni di dollari. A causa dei continui ritiri da parte degli attori, che avevano fatto naufragare il progetto anni prima, la major decise che si sarebbe occupata direttamente del casting e non la produzione artistica: Hugh Jackman e Rachel Weisz furono scelti come protagonisti.
Il film si propone come un vero e proprio discorso sulla vita e sulla morte, nel quale i riferimenti al reale vengono mascherati attraverso simboli e metafore.
Una premessa concreta (uno scienziato che si prende cura della moglie malata terminale) viene esplorata in un modo che fonde fantasy e fantascienza, diventando di conseguenza surreale e visivamente mozzafiato.
Al botteghino fu un disastro, riuscendo a incassare solo la metà di quanto era costato produrlo; ad oggi ha tanti detrattori quanti sostenitori. Di sicuro, la colonna sonora è ciò che mette d’accordo tutti quando si parla di questo film: è perfetta.
Questi, però, sono solo alcuni esempi di passion project; la lista sarebbe infinitamente più lunga, anche se molto spesso il confine che definisce cosa sia davvero un passion project, e quali film ne facciano parte o meno, è molto labile.
4 Comments
Comments are closed.