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Le interviste: Nicholas Iway, tra piccioni e film horror
Nicholas Iway è un giovane regista e sceneggiatore statunitense, noto soprattutto per i suoi film horror, che hanno caratteristiche decisamente insolite e che sfidano i soliti stereotipi dei classici film horror.
In un’interessante intervista per la rubrica del magazine online Horror Society Nicholas Iway si racconta e racconta la nascita di alcune delle sue opere più peculiari: sia in Androgynym che in Slice, ad esempio, affronta la questione e il concetto di mascolinità come pretesto per creare storie spaventose.
Noi di Almanacco Cinema abbiamo avuto la fortuna di intervistarlo per voi.
Almanacco Cinema presenta: l’intervista a Nicholas Iway
Nick, tu sei scrittore, sceneggiatore, regista attore… e molto altro in ambito cinematografico. Ti chiedo, dunque, a tuo parere quale sia il tuo migliore “skill”, il tuo punto di forza, e che cosa ti rende diverso dagli altri registi? Hai qualcosa che ti identifica, che identifica il tuo modus operandi artistico e che potresti definire la tua “firma”?
Nicholas Iway: “Sebbene io scriva, diriga, reciti ecc. ecc., personalmente mi identifico più come narratore che con qualsiasi altro titolo specifico. La cosa che preferisco fare è raccontare storie, in ogni modo possibile. Mi capita di lavorare nell’industria cinematografica per guadagnarmi da vivere, e questo mi dà accesso agli strumenti e al personale necessari per poter utilizzare la realizzazione di film come mezzo espressivo per poter raccontare storie.
In qualità di regista cinematografico, il mio obiettivo principale è intrattenere il pubblico. In secondo luogo, mi piace pensare di portare quella che è la mia prospettiva personale in un film, in un modo unico che il pubblico possa comprendere e sperimentare. Quella prospettiva è semplicemente il modo in cui vedo le cose in una data situazione. Non saprei dirvi quale sia il mio “marchio di fabbrica” come regista, se non che è la mia prospettiva, che varia da situazione a situazione… almeno credo!
Il mio percorso artistico, invece, posso definirlo con assoluta certezza. Sono tanto un tecnico, o un artigiano, quanto un artista. Onestamente, non sono sicuro di essere un “artista” nel vero senso della parola, come Carl Jung o Joseph Campbell definivano l’essere un artista, ma so di essere un artigiano e un tecnico. Amo raccontare storie, amo i film e… amo creare storie e film. Grazie a questo, ho imparato tutto quello che potevo su entrambi i mestieri e ora continuo ad approfondire la mia conoscenza in entrambi i campi, utilizzando i principi e le tecniche che apprendo quando creo le mie storie e i miei film.
Qualsiasi mestiere è incredibilmente complicato e di solito si impara attraverso l’esperienza. La narrazione e la produzione cinematografica non fanno eccezione. Il mio approccio artistico consiste nell’imparare sempre dalle storie e dai film che incontro ogni giorno e nell’utilizzare le specificità di questo apprendimento nel modo che meglio si adatta alla mia narrazione o alla mia produzione cinematografica. Magari è un po’ noioso, così come lo descrivo, ma… non mi illudo di avere qualcosa da dire al mondo, se non mostrargli ciò che mi interessa, così come lo vedo io”.
La passione per i piccioni
Parliamo di Pigeon’s Life. Potremmo definirlo una sorta di documentario, docu-film o mocumentary? Come hai avuto l’idea e… perché proprio i piccioni?
“Ho avuto l’idea per The Pigeon Life perché io stesso, nella vita reale, sono un vero appassionato di piccioni e allevatore. Ho sempre amato i piccioni, come potrete notare guardando il film, e volevo dare alle persone un assaggio di quella che è la più ampia sottocultura dei piccioni. Stavo cercando di capire come realizzare questo documentario da anni, quando il mio amico nonché uno dei direttori della fotografia del film, Evan Anderson, è venuto a casa mia e ha visto il mio loft per la prima volta. Ha immediatamente insistito perché girassimo un film su di me e sui miei uccelli.
Onestamente, all’epoca non ero nella posizione ideale per produrre un film, ma dato che questo fantastico direttore della fotografia era quasi più entusiasta di me… beh, ho dovuto cogliere l’occasione al volo! La storia è, dunque, diventata quello che è – un documentario arricchito da alcune scene chiave, già sceneggiate – semplicemente grazie alle risorse disponibili all’epoca. La trama originale che avevo scritto come possibile guida per il film è stata riscritta più volte in base a ciò che catturavamo giorno dopo giorno, finché il tutto non ha iniziato a prendere forma dopo circa 10 giorni di riprese.
Quindi, in sostanza, Evan ed io abbiamo deciso di fare un film sui piccioni perché lui li trovava fantastici e interessanti e voleva davvero filmare qualcosa. Una volta che la storia ha iniziato a prendere forma, abbiamo chiesto al nostro caro amico Jan Balster se voleva partecipare, e noi tre assieme abbiamo fatto in modo che il progetto si realizzasse”.

Androgynym, il film di Nicholas Iway
Viviamo in un’epoca, quella attuale, definita della cosiddetta woke culture. Partendo da questo presupposto ti chiedo di parlarmi di Androginia. In questo film hai a che fare con queste tematiche?
“In realtà, Androgynym è stato completato nel 2015, dunque qualche anno prima che avessi a che fare col termine woke. Il film è stato ispirato dalla perdita di mia moglie, Cela, avvenuta qualche anno prima. È una metafora della mia transizione personale da me stesso, sposato, innamorato, amato e piuttosto felice, a quest’altro essere che sono diventato dopo aver perso la mia migliore amica e compagna di vita.
In sostanza, è una storia di rinascita. Parla anche di dipendenza, perché in modo molto diretto ero dipendente da ciò che ero come persona quando Cela era in vita: felice, amato, innamorato, ecc. Dopo la morte di Cela, mi sono ritrovato in uno stato di intensa astinenza, altrimenti noto come dolore, per anni, che è diminuito di intensità dopo un po’, ma che continua ancora oggi. Nel film il protagonista apporta un cambiamento irreversibile alla sua fisicità, e questo rappresenta il modo in cui, nella vita reale, io – Nick- sono cambiato in modo irreversibile.
Ad ogni modo, qualsiasi elemento woke nel film è puramente incidentale. Da parte mia, volevo solo raccontare la storia di un uomo che ha attraversato una trasformazione irreversibile, passando da un tipo di essere a un altro”.
Nicholas Iway scrittore
Oltre che sceneggiatore, sei anche un autore. Parlaci del tuo libro Cookie Land. Personalmente, ho appena iniziato a leggere questo tuo romanzo: dalle premesse, sembra parlare di un ragazzo con una infanzia difficile. E dunque ti chiedo: esattamente che cos’è Cookie Land? Una sorta di regno di fantasia all’interno di una storia fantasy?
“Anche Cookie Land è una metafora. È un’altra storia metaforica sul diventare adulti. Ogni anno aiuto il mio amico e fotografo Michael Oppenheim a scattare le foto per la National Gingerbread House Competition qui ad Asheville, nella Carolina del Nord. Così, mentre lavoravamo, ho pensato che sarebbe stato bello realizzare un film che fosse una sorta di animazione o stop motion in cui tutto ciò che si vede nell’inquadratura fosse fatto di componenti commestibili come queste casette di pan di zenzero. Ma… era troppo lavoro e ci sarebbe voluto troppo denaro per produrlo, quindi ho deciso di trasformare la storia che si stava formando nella mia testa in un romanzo, semplicemente perché era l’unico modo economicamente conveniente per raccontare questa enorme storia.
Voglio ancora trasformarla in un’opera teatrale o in una miniserie, ma è piuttosto stravagante e non credo ci sia un modo per farlo con meno di un capitale!, quindi dovrei avere un successo incredibile perché questo romanzo non rimanga solo “su carta”. Non so come classificare la storia, se non che è un’avventura su un tizio che si trova a vivere temporaneamente in un mondo di pan di zenzero”.
Sui progetti futuri
Parlaci dei tuoi prossimi progetti, nell’immediato futuro.
“Il mio prossimo progetto potrebbe essere una delle tante cose a cui sto lavorando. Io e il mio amico Doman Nelson abbiamo girato l’episodio pilota di una serie TV su una squadra di hockey su slitta a Raleigh, nella Carolina del Nord, che la PBS è interessata ad aiutarci a continuare. Si tratta di un processo lento, ma spero che inizi a muoversi qualcosa già in primavera.
Ho anche scritto alcuni film narrativi, tra cui Androgynym parte 2, un film sulle aragoste assassine giganti, un film d’animazione di fantascienza e quello che considero un favoloso dramma di personaggi che incorpora il mondo dei piccioni e del salvataggio degli animali, che mi piacerebbe realizzare, ma i film narrativi sono incredibilmente difficili da finanziare e produrre, quindi non conto che nessuno di questi si realizzi. Ho anche ideato e organizzato un documentario sugli anni ’90 raccontato dal punto di vista della “gang” con cui ho attraversato l’adolescenza e la prima età adulta, mentre creavamo il prossimo numero della mia storica rivista underground, Lice Magazine. Dopo l’hockey su slitta, questo sarà probabilmente il mio prossimo progetto, semplicemente perché sarà il più economico da produrre.
Il mio obiettivo a lungo termine con The Pigeon Life, invece, è quello di finanziare una serie simile al film trasformandola in una docu-serie a episodi. Ho un bellissimo plico di documentazione e una stagione scritta con il coinvolgimento di ogni genere di appassionati di piccioni da tutto il mondo, compresi Egitto e Grecia. Ai festival in cui andrà in onda The Pigeon Life, darò il massimo per questa serie sui piccioni. Mi piacerebbe davvero mantenere vivo l’interesse per i piccioni.
Ringraziamo Nicholas Iway per il tempo che ci ha dedicato. Trovate qui le altre interviste in esclusiva di Almanacco Cinema.