Dario Argento migliorano condizioni di salute per il maestro del brivido e del giallo all’italiana, che accenna un sospiro nuovo: quello della ripresa.
Ricoverato ad Ischia due giorni fa per una crisi respiratoria, Dario Argento è passato dall’Unità di Terapia Intensiva Cardiologica al reparto di Medicina Generale, con un possibile trasferimento in una struttura di recupero nei prossimi giorni.
Proprio in questo momento sospeso tra fragilità e rinascita, vale la pena ritornare sul viaggio visionario e indimenticabile che l’ha reso un pilastro del cinema italiano.
Da L’uccello dalle piume di cristallo (1970), autentica pietra miliare del giallo italiano, a Profondo rosso (1975), pellicola di svolta che unite a una colonna sonora iconica dei Goblin ha ridefinito le regole del thriller.
Argento ha letteralmente plasmato un immaginario viscerale e sensoriale.
La passione per la manipolazione delle emozioni visive evolve con la “Trilogia delle tre madri”, cui appartengono Suspiria (1977), Inferno (1980) e La terza madre (2007). Questi film sono più di storie: sono rituali visivi, costruiti con scenografie pittoriche, suoni ipnotici e un’ossessione per il senso dell’orrore e del sacro che rendono il brivido quasi sacro.
Argento è stato un autore prolifico e versatile: tra i suoi titoli più noti troviamo Tenebrae (1982), Phenomena (1985), Opera (1987), La sindrome di Stendhal, Il fantasma dell’opera, fino a proseguire con Sleepless, Il cartaio, Giallo, Dracula 3D e Dark Glasses (2022), quest’ultimo primo film a distanza di dieci anni ma comunque fedele al suo universo nero e tormentato.
Dario Argento ha imposto al cinema italiano un’estetica del brivido, fatta di colori saturi, luci innaturali, movimenti di macchina ossessivi, colonna sonora come entità emotiva.
Strumenti con cui ha trasformato il thriller in “cerimonia terribile”, come lui stesso ha descritto il rapporto tra spettatore e paura.
Critici e colleghi ne hanno riconosciuto la forza visionaria e la dedizione al dettaglio.
Il suo carattere, spesso descritto come burbero e concentrato sul lavoro, nasconde una visione d’artista che privilegia l’opera al clamore mediatico.
Dopo una retrospettiva a New York, Argento ha liquidato la sua fama con un secco “sticazzi”: «Non mi importa» ribadendo che, più della gloria, conta la creazione, la materia cinematografica sullo schermo.
Mentre Dario Argento si rimette, c’è una frattura lieta nella memoria collettiva.
Perché il mondo del cinema aspetta un suo respiro nuovo, un incipit per nuove visioni. Il regista, vegliardo e ferito, resta maestro dell’inquietudine e custode di una visione che ha fatto della paura una forma d’arte.
Il suo recupero diventa metafora della ricostruzione, di una rinascita lenta e carica di luce.
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