Ieri sera l’esercito israeliano ha arrestato il regista Hamdan Ballal, co regista del documentario premio Oscar No Other Land.
Hamdan Ballal, uno dei quattro registi del film palestinese No Other Land premiato quest’anno con il premio Oscar come miglior documentario, è stato aggredito e ferito durante un attacco da parte di un gruppo di coloni israeliani a Susiya, in Cisgiordania, territorio che secondo la comunità internazionale appartiene ai palestinesi ma che da decenni è sotto occupazione illegale da parte di Israele.
Secondo testimoni oculari, decine di coloni israeliani sono arrivati a Susiya e hanno iniziato a lanciare pietre contro case, automobili e abitanti del villaggio, scatenando una risposta violenta da parte dei palestinesi. Quattro palestinesi sono rimasti feriti, tra cui Hamdan Ballal.
Il regista, che era stato messo su un’ambulanza per essere curato, è stato poi arrestato dai soldati israeliani. La polizia ha confermato che tre palestinesi sono stati arrestati, insieme a un minorenne israeliano, che è stato successivamente rilasciato a causa delle ferite riportate dopo essere stato colpito da una pietra.
Yuval Abraham, co-regista israeliano di No Other Land, ha scritto sul social X (ex Twitter):
“Un gruppo di coloni ha attaccato la casa di Hamdan, che ha diretto il film insieme a me. Lo hanno picchiato alla testa e su tutto il corpo. Mentre era ferito e sanguinante, i soldati sono entrati nell’ambulanza che aveva chiamato e lo hanno arrestato. Da allora non si hanno più sue notizie e non è chiaro se stia ricevendo cure mediche o cosa gli stia succedendo.”
A febbraio, alcuni coloni avevano già attaccato Masafer Yatta, dove vive un altro dei registi, Basel Adra.
Adra ha scritto sui social che l’ultima volta che ha visto Ballal, lunedì scorso, era visibilmente ferito e perdeva sangue: “È così che cancellano Masafer Yatta.“
No Other Land (qui la nostra recensione), scritto, diretto e montato da un collettivo israelo-palestinese, racconta la storia di Masafer Yatta, una regione della Cisgiordania composta da circa 20 villaggi, che da quarant’anni è vittima di violenze quotidiane da parte di soldati e coloni israeliani.
Secondo gli accordi di Oslo del 1993, la zona è sotto il controllo civile e militare di Israele. Negli anni ’80, l’esercito israeliano decise di trasformare Masafer Yatta in un poligono di tiro, tentando in vari modi di sfrattare i palestinesi dalla regione.
L’esercito ha spiegato che l’importanza strategica di questa zona deriva dalle sue caratteristiche topografiche uniche, che permettono di testare strategie sia per piccoli gruppi di soldati che per battaglioni.
Nel 2022, la Corte Suprema israeliana ha confermato che Masafer Yatta dovrà diventare ufficialmente un poligono di tiro. Tuttavia, le demolizioni e le violenze da parte di soldati e coloni erano già in atto da tempo.
Il documentario mostra immagini e interviste girate tra il 2019 e il 2023, in cui si vedono coloni a volto coperto picchiare palestinesi e danneggiare le loro case. Una delle scene più forti mostra un soldato delle forze di difesa israeliane (IDF) che spara a Harun Abu Aram, un giovane disarmato che stava protestando contro la demolizione della sua casa.
Le violenze, che erano già presenti da tempo, si sono poi intensificate dopo l’invasione israeliana della Striscia di Gaza in risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.
No Other Land ha posto, con la sua uscita, i riflettori su una zona di terra martoriata che viene ignorata – volente o meno – dal mondo occidentale. La sua uscita ha anche attirato le critiche del governo israeliano, che ha accusato il film di distorcere la realtà.
Il ministro della Cultura di Israele, Miki Zohar, aveva commentato la vittoria agli Oscar tramite un post sul suo account X:
“La vittoria dell’Oscar per il film No Other Land è un momento triste per il mondo del cinema. Invece di presentare la complessità della nostra realtà, i registi hanno scelto di dare eco a narrazioni che distorcono l’immagine di Israele nel mondo.”
Il ministro israeliano ha poi proseguito: “La libertà di espressione è un valore importante, ma trasformare la calunnia di Israele in uno strumento di promozione internazionale non è creatività: è sabotaggio dello Stato di Israele, e dopo il massacro del 7 ottobre e la guerra in corso, fa doppiamente male.”
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