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Ho visto un re (2025): un film moscio e dispiace

La recensione spoiler di Ho visto un re (2025), diretto da Giorgia Farina. Un film che parte con delle ottime premesse, ma che finisce per deluderle tutte.

 

 

Tra i film italiani al momento disponibili in sala, uno di quelli dalla confezione migliore è proprio Ho visto un re (2025), per la regia di Giorgia Farina. Confezione che, però, non rispecchia ciò che c’è effettivamente dentro.

Se leggete i commenti al trailer vedrete la maggior parte degli utenti notare (o lamentare) una certa somiglianza a Wes Anderson o a Jojo Rabbit. Beh questa cosa è vera solo in parte.

Per entrambi i casi, in questa recensione vedremo perché.

 

Trama e cast di Ho visto un re

 

Presentato fuori concorso alla 42ª edizione del Torino Film Festival, Ho visto un re è stato distribuito nelle sale italiane a partire dal 30 aprile 2025. Ad oggi lo potete trovare ancora.

 

Il film racconta la storia di Emilio, bambino del 1936. Mentre l’Italia celebra la vittoria in Etiopia, un evento eccezionale sconvolge il suo paese: un Principe africano catturato e tenuto prigioniero nella voliera del suo giardino. Il giardino del Podestà, per la precisione. Solo per Emilio, tuttavia, non è un selvaggio da guardare con sospetto, ma è Sandokan, e sarà il suo eroe.

 

Nel cast troviamo il sempre bravissimo Edoardo Pesce, nel ruolo del padre di Emilio e Podestà. Seguono poi un promettente Marco Fiore, nei panni del piccolo Emilio, e Gabriel Gougsa, che interpreta il principe etiope. E ancora Blu Yoshimi, Gaetano Bruno, Elisa Di Eusanio Sara Serraiocco.

 

 

La storia vera dietro Ho visto un re

 

Quella di Emilio e del Ras etiope è una storia realmente accaduta.

 

Giorgia Farina ha letto il libro del giornalista Guido Longobardi, Il figlio del podestà, e ha voluto raccontare la storia vera di un Ras imprigionato durante l’epoca fascista.

Nel libro, infatti, Longobardi racconta la sua infanzia, segnata dall’incontro con un re etiope prigioniero. Re etiope che man mano inizierà a vedere come un eroe.

 

“Ho trovato lo straordinario nel reale,” ha spiegato sempre la Farina. “Raccontare la storia attraverso gli occhi di un bambino mi ha permesso di trasformare il dramma in avventura e il diverso in meraviglia“.

 

 

La recensione: una Wes Anderson italiana?

 

Il film partiamo subito col dire che sia molto deludente.

Come già accennato in molti hanno visto dei legami con Wes Anderson e Jojo Rabbit, di Taika Waititi. Ma magari, mi sento di dire.

 

Il legame con Anderson starebbe nella composizione delle inquadrature. Alcune della Farina effettivamente ci assomigliano anche, però sono molto più mobili e meno eccentriche.

 

Per quanto riguarda Jojo Rabbit, questo film riprende i temi del bambino indottrinato dalla propaganda folle del regime, la scoperta del soggetto discriminato e il superamento delle barriere ideologiche imposte.

Rispetto al bellissimo film di Waititi, però, Ho visto un re va troppo di fretta e non dà il tempo al rapporto di maturare a dovere o anche solo di evolversi da qualcos’altro, come un iniziale astio.

La moralità di Emilio si sviluppa troppo presto. Sarebbe bastato un contrasto tra le fantasie letterarie incarnate nel Ras e le non meno irrealistiche dottrine fasciste.

 

La moralità dei personaggi e il confronto con Jojo Rabbit

 

Un altro difetto è che ci sono troppi personaggi che seguono lo stesso percorso morale di Emilio. Quasi tutti verso la fine assumono ideologie moderne. Sono troppi e con una sceneggiatura troppo di base e didascalica.

Si passa dal razzismo, all’omofobia fino a punte di femminismo. Decisamente troppi temi, affrontati alla fine in maniera troppo moderna, per troppi personaggi dell’Italia del 1936.

In questo senso il personaggio dello zio di Emilio, Michele, è senza dubbio il più insopportabile, perché è una specie di marionetta della voce della regista.

 

 

Certo, anche in Jojo Rabbit c’era il personaggio della madre di Jojo, ma era una cosa molto più sopita e soprattutto meno didascalica. Con lei che con soprattutto con i dettagli portava in scena una mentalità moderna e cercava di allontanare il figlio dalle idee naziste.

 

Manca un momento in questo film in cui in Emilio si rompa qualcosa, un’effettiva presa di consapevolezza e una rottura definitiva col fascismo. O anche solo un cambiamento nella sua concezione dello straniero o colonizzato. E’ un personaggio molto piatto il suo.

 

 

Premesse non mantenute e ritmo di Ho visto un re

 

La premessa di un bambino che scopre per la prima volta uno straniero e nella sua mente prende la forma del suo esotico eroe letterario, sarebbe molto bella. Ma il film, oltre a non stratificarla a dovere, da un certo punto in poi la lascia proprio perdere.

La storia d’amore è del tutto inopportuna e puzza di finto a mille (con una Blu Yoshimi che non è proprio da Oscar ecco).

Le scene di fantasia di Emilio sono orrende, perché non hanno neanche quell’estetica pittorica, ma sono se semplicemente dei posticci effetti digitali, degni neanche del peggiore dei cartoni animati.

 

Ci sono parti veramente monotone e che non servono quasi a nulla, come tutta la storia della madre di Emilio. La seconda parte è sinceramente soporifera.

 

Un film senza forza

 

Sì perché la verità è che, per un film che presentava una regia che lo sembrava così tanto per noi, non riesce mai ad essere davvero originale registicamente. O magari ironico o commovente nella sceneggiatura.

Il monologo di Abraham poteva essere la parte migliore del film, con la descrizione delle atrocità italiane nelle “Terre al sole”, ma anche questo è privo di una vera forza, non è cattivo e non sa di nulla.

Per lo stesso Abraham, si poteva spingere un po’ di più sulle sue connotazioni fiabesche o portare in scena un fascino (almeno inizialmente) inquietante per Emilio, ma anche qui niente.

 

 

Il finale di Ho visto un re

 

Anche il finale è senza coraggio, tutti hanno la loro felice conclusione. E’ buttato lì, con qualche linea di sceneggiatura e nessuna emozione vera nello spettatore, perché non c’è stata mai una minaccia, un pathos o un climax. Il massimo che viene fatto ad Abraham in tutto il film è un taglietto sulla guancia. 

 

In Jojo Rabbit c’era l’originalità dell’umorismo no-sense ma c’era anche un sincero affezionamento e apprensione per la sorte dei personaggi. Devo ricordarvi le fini che fanno la madre di Jojo o l’esilarante Capitano Klenzendorf ? Oltre a come e quando vengono messe in scena.

Qui c’è un minimo di rischio verso la fine, ma viene quasi subito soppiantato. Anche quando Emilio e Abraham vengono scoperti le conseguenze sono molto ‘family friendly‘, nulla che ti faccia crescere mai davvero un minimo di interesse.

 

 

 

 

Un film, perciò, questo senza coraggio; che rimane lì, grigio, anonimo, da 5 in pagella. E’ una delle cose peggiori per un’opera d’arte e ci auguriamo con tutto il cuore che la Farina possa riprendersi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Marco Lancia

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