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Roma Cinema Fest: Eddington
Presentato in anteprima nazionale al Festival del Cinema di Roma, Eddington di Ari Aster è un ritratto del caos dell’America odierna e del secolo digitale.
Ari Aster continua a stravolgere il linguaggio cinematografico e reinventare il suo cinema. Già con Beau ha paura aveva preannunciato un cambio di rotta rispetto all’attitudine avuta fino in quel momento. E ora Eddington (2025) non è altro che una conferma. Prodotto da A24, il nuovo delirio di Aster non è esclusivamente frutto dall’atmosfera pandemica, ma approfondisce temi ben più complessi, stratificati e radicati nell’America contemporanea.
Eddington, la trama
Maggio 2020, New Mexico, Stati Uniti d’America. Nel pieno della pandemia di COVID-19 nella piccola cittadina di Eddington la tensione si insinua velocemente. La comunità è divisa tra due ideologie che vedono ai due vertici il sindaco Ted Garcia (Pedro Pascal) e lo sceriffo Joe Cross (Joaquin Phoenix). Se Garcia adotta una linea ortodossa e ferma nel rispetto delle misure preventive, Cross, con la sua asma e il suo scetticismo, è al contrario più elastico e permissivo nei confronti dei cittadini. Si delinea così un attrito ideologico profondo che si diffonderà nell’intera comunità, portando a un’escalation di scontri senza via di ritorno.
Il caos come regime di una nazione
Molteplici sono le questioni irrisolte che mettono a fuoco e fiamme la cittadina di Eddington. Dal complottismo al Black Lives Matter, dalla piaga della pedofilia all’energia eolica, dalla pandemia a Butler che ricorda il fanatismo di Charles Manson. Aster racconta attraverso una narrazione lineare ma comunque destrutturata nel contenuto, agendo per accumulazione. Le tensioni sociali si propagano a macchia d’olio nell’era di internet e danno vita a un microcosmo in ebollizione. E nonostante possa sembrare tutto suggerito e mai risolto o approfondito, sta proprio qui il messaggio: nella sospensione. Il caos si rivela così una metafora significativa: il non ordine, l’approssimatività e la disinformazione che subisce lo spettatore stesso, diventano il collante di un tessuto lacerato.

Un neo-western: l’arma ora è il cellulare
Aster, come suo solito, destruttura il genere abilmente, trasformando Eddington in un vero e proprio neo-western crepuscolare tinto di commedia nera. La musica, le ambientazioni e i movimenti di macchina ricordano le valli desolate dell’epica del West, ma l’arena cambia sinfonia: il conflitto è digitale. Ora, l’arma più insidiosa è lo smartphone. Colui che distorce la realtà e diffonde come un virus complottismo e disinformazione. Cosi, Eddington diventa ritratto della polarizzazione della guerra civile moderna.
Eddington, la regia: un delirio orchestrato
La regia di Ari Aster orchestra un crescendo paranoico collettivo, trasformando i personaggi – sia in primo piano che sullo sfondo – in figure che ad oggi, appaiono surreali. Il regista riesce a coreografare un delirio che invita e spinge tutti i personaggi verso una frenetica ricerca di affermazione. Uno slancio inevitabilmente disastroso. Joaquin Phoenix si presta nuovamente, dopo Beau ha paura, anima e corpo in un viaggio di profonda metamorfosi interiore, di smarrimenti e prove morali. La fotografia e la composizione visiva enfatizzano la lotta delle fazioni in modo cruciale: in ogni inquadratura c’è il divario feroce.
Rivoluzione del linguaggio, ma…
La sperimentazione di Aster si diffonde fino a ridefinire il linguaggio, in particolare nell’uso del primo piano. In Eddington, il regista vi integra lo smartphone, che non è più mero oggetto di scena, ma una protesi che amplifica la sua egemonia. L’inquadratura che viene contaminata è specchio del mezzo come estensione emotiva. Tuttavia, nel tentativo di restituire la complessità della società contemporanea, Eddington finisce talvolta per perdersi nella propria ambizione, risultando leggermente dispersivo. È come se, nel voler contenere tutto, finisse per smarrirsi in alcuni punti. Eppure, forse sta proprio in questo slancio e nel rischio dell’eccesso, l’identità di Aster e la sua evoluzione…
