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Roma Cinema Fest: Vie privée
Presentato al Festival di Cannes 2025, Vie privée è l’ultima opera di Rebecca Zlotowski. Il film segna anche un ritorno sul grande schermo per Jodie Foster.
Vie privée, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2025, è ambientato in una Parigi silenziosa e malinconica, il film segue le vicende di una psichiatra americana la cui quotidianità metodica viene scossa dalla morte improvvisa di una paziente. Da quel momento, la protagonista si trova a fare i conti con dubbi professionali, ferite personali e un senso crescente di smarrimento.
Rebecca Zlotowski costruisce un dramma intimo e sofisticato, che esplora i limiti tra empatia e responsabilità, tra vita pubblica e tormenti interiori. In Vie privée la regista francese sceglie di raccontare un dramma psicologico intimo e profondo attraverso un linguaggio sobrio, carico di silenzi, ombre e sospensioni. A reggere l’intero impianto narrativo è una straordinaria Jodie Foster, qui in una delle sue interpretazioni più complesse e interiori degli ultimi anni.
La demolizione delle convinzioni
La protagonista di Vie privée è una donna apparentemente solida, razionale, pienamente consapevole della propria posizione e dei confini netti che ha stabilito tra il sé e il mondo esterno. All’inizio del racconto è guidata da convinzioni professionali granitiche, che si riflettono in un atteggiamento diffidente verso tutto ciò che esula dal metodo clinico classico. Il suo scetticismo nei confronti di pratiche come l’ipnosi, che proverà solo in seguito a un sintomo fisico inspiegabile (un’improvvisa lacrimazione persistente), è emblematico della barriera difensiva che ha costruito nel tempo. Questa condizione di apparente equilibrio viene infranta dalla morte improvvisa di una sua paziente, Paula, suicida in circostanze misteriose.

Questo evento destabilizza completamente Lilian, che non riesce a trovare nella sua esperienza clinica alcun segnale premonitore di quel gesto estremo. Convinta che qualcosa non torni, Lilian inizia a nutrire sospetti: prima verso la figlia della paziente, Valérie, poi verso il marito.
L’indagine che ne segue non è solo un tentativo di fare chiarezza sulla vicenda, ma diventa una sorta di indagine interiore, che la costringe a confrontarsi con i propri limiti, con la fallibilità del giudizio clinico e soprattutto con l’idea, dolorosa, di non aver saputo vedere.
La Zlotowski orchestra il film come un viaggio a ritroso, in cui la protagonista si muove tra flashback, registrazioni su vecchie cassette, colloqui, sguardi, sensazioni sospese, nel tentativo di ricostruire non solo l’ultima fase della vita di Paula, ma anche ciò che lei stessa ha perso nel frattempo: l’empatia, la capacità di ascoltare oltre il sintomo, la connessione profonda con l’altro.
La zona grigia tra il sapere e il sentire
L’intreccio assume i contorni di un vero e proprio thriller psicologico, con venature noir che non possono non evocare l’influenza di Alfred Hitchcock. Il ricorso al MacGuffin, l’elemento di sospetto che alimenta l’indagine ma che alla fine si rivela un falso bersaglio, è gestito con grande maestria: la pista del delitto, infatti, si dissolve nel momento in cui la protagonista, riascoltando una vecchia registrazione di una seduta, si rende conto che Paula un grido d’aiuto lo aveva espresso, solo che lei non l’aveva compreso, o peggio, lo aveva ignorato.

È in questo snodo narrativo che Vie privée si trasforma da racconto di genere in qualcosa di più sottile e potente: la psichiatra, che all’inizio del film ci appare fredda, quasi clinicamente distaccata da ciò che non rientra nelle sue categorie, si ritrova progressivamente spogliata delle sue difese. Lilian si concede alla consapevolezza che non tutto può essere compreso o controllato, che esistono verità che sfuggono, e che in questo sfuggire rivelano ciò che conta davvero.
Jodie Foster interpreta questa parabola esistenziale con misurata intensità, tratteggiando un personaggio che è insieme forte e vulnerabile, dominato dal controllo ma percorso da crepe che si fanno sempre più evidenti. La sua trasformazione è lenta, a tratti impercettibile, ma proprio per questo credibile e toccante. Non c’è mai melodramma, mai eccesso, solo la verità della scoperta.
Vie privée è un film che parla di limiti e trasformazioni, ma soprattutto di quella zona grigia tra sapere e sentire, tra ciò che possiamo spiegare e ciò che dobbiamo solo accogliere.
