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i ragazzi della nickel, recensione almanacco cinema

I ragazzi della Nickel, la recensione di Almanacco Cinema

Candidato agli Oscar 2025, I ragazzi della Nickel di RaMell Ross è un film sull’America peggiore, quella segregazionista e razzista.

Tratto dall’omonimo romanzo di Colson Whitehead, uno dei massimi scrittori afroamericani contemporanei,  I ragazzi della Nickel (2024) racconta i fatti realmente accaduti all’interno della Dozier School for Boys di Marianna, in Florida.

Attivo dal 1900, l’istituto fu chiuso nel 2011 dopo il ritrovamento di decine di tombe anonime a testimonianza dei soprusi perpetrati sui bambini e i ragazzi rinchiusi.

I ragazzi della Nickel, la trama

Florida, 1962. Elwood (Ethan Cole Sharp), un bravo ragazzo di colore, arrestato ingiustamente per un furto d’auto mentre si reca al college, viene spedito alla Nickel Academy: una scuola-riformatorio in cui i ragazzi subiscono ogni tipo di violenza.

Dentro l’istituto, Elwood conosce Jack Turner (Brandon Wilson), adolescente sveglio e disilluso dalla vita, che cerca di consigliarlo su come muoversi, per non mettersi nei guai.

La soggettiva: gli occhi dei personaggi

Il film di RaMell Ross ‒ direttore della fotografia e noto documentarista ‒ è una storia cruda, narrata per più di due ore con la tecnica della soggettiva in prima persona.

Dopo il disorientamento iniziale, in cui le inquadrature si concentrano sui dettagli e noi spettatori (attraverso l’uso della soggettiva) vediamo attraverso gli occhi di un bambino, il cui mondo appare meraviglioso, caotico e senza tempo, si viene catturati all’interno della narrazione e non c’è via di fuga.

Per brevi istanti, osserviamo il protagonista di spalle, ormai adolescente, chino sui banchi di scuola e ne percepiamo il gravoso fato che lo attende. Poi la Mdp ritorna a essere i suoi occhi e noi continuiamo a guardare e sentire come Elwood: conosciamo sua nonna Hattie Curtis (Aunjanue Ellis-Taylor)  dalla voce dolce e amorevole.

Siamo Elwood, il sognatore e idealista, influenzato dagli insegnamenti di Martin Luther King.

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Lo spettatore nei panni del personaggio

Fino alla fine del film non ci è concesso sottrarci al peso emotivo della storia, come al protagonista non è dato sottrarsi al suo destino infausto. Una scelta stilistica azzardata, ma potentissima.

In questo modo, anche lo spettatore più distaccato riesce ad entrare in empatia col personaggio, senza l’interferenza di pregiudizi mentali inconsci.

Non vedendolo, ma incarnandolo, noi spettatori siamo costretti a vivere sulla nostra pelle le terribili crudeltà a cui Elwood è sottoposto, insieme agli altri ragazzi.

Noi siamo Elwood, un bravo ragazzo, cresciuto con amore dalla nonna e vittima di un sistema crudele e corrotto, ma siamo anche tutti gli altri.

Quando poi a un certo punto la prospettiva cambia, diveniamo anche Jack Turner e finalmente possiamo  conoscere il volto del protagonista.

I suoi occhi parlano da sé. La sua bontà la riconosciamo perché l’abbiamo vissuta. Ce l’abbiamo dentro.  L’altro non è più il nemico. Siamo sullo stesso piano. Ogni barriera è stata abbattuta.

Ross ci guida per mano, orientando il nostro sguardo e le nostre percezioni. E possiamo vedere il terribile mostro del razzismo mietere le sue vittime. Mostro che ha volti: i volti di un’America bianca e malata, ignorante e crudele, assetata di sangue; l’America segregazionista degli anni Sessanta, la cui eco si fa sentire ancora ai giorni nostri e che nel film ha il volto di Spencer (Hamish Linklater) l’amministratore corrotto, responsabile degli abusi e delle violenze nel riformatorio; e di Harper (Fred Hechinger) il responsabile del programma di lavoro forzato della scuola.

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L’immagine come linguaggio narrativo

I ragazzi della Nickel è un film lirico. L’immagine diventa verbo. La parola si fa cornice.

Per realizzare le riprese in soggettiva, il regista si è concentrato su ciò che i personaggi avrebbero guardato. In alcuni casi, non è stata necessaria neanche la loro presenza, sostituiti dalla macchina da presa.

Ross ricorre a questa tecnica per rappresentare l’esperienza umana così com’è. Intervistato dalla BBC spiega: “Si tratta di dare al personaggio – di dare a Elwood – non la prospettiva retrospettiva di noi stessi, che guarda le cose come se fossero già significative, ma di osservare le cose che diventeranno significative. Quindi la narrazione sarà sempre secondaria rispetto all’esperienza visiva”.

Per tutta la durata del film è infatti esattamente così. Le immagini assolvono alla loro funzione di linguaggio universale.

Il linguaggio impressionista utilizzato da Ross permette di esaltare l’umanità e il carattere stoico dei personaggi, capaci di trovare il bello anche nelle situazioni più difficili, come nella  scena in cui i ragazzi attendono con gioia il momento del gelato (premio concesso solo quando sono in corso ispezioni esterne); oppure quando possono esprimersi attraverso lo sport. In quei momenti, nei loro occhi, per lo più velati di tristezza, paura e terrore, leggiamo la gioia, la fanciullezza, il desiderio e il diritto di vivere una vita piena di cose belle e di ricevere amore.

Conclusioni

I ragazzi della Nickel di RaMell Ross è un’esperienza immersiva estremamente coinvolgente. Un lungometraggio in cui le vecchie convenzioni cinematografiche vengono ribaltate e decostruite per dare vita a un nuovo linguaggio narrativo, in cui noi che guardiamo non siamo più solo spettatori, ma diveniamo parte integrante del testo filmico.

I ragazzi della Nickel è un film che merita assolutamente di essere visto o, meglio, di essere “vissuto”.

Il film è candidato ai Premi Oscar 2025 come Miglior Film e Miglior Sceneggiatura Non Originale.

Recensione a quattro stelle su Almanacco Cinema