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Io capitano, la recensione su Almanacco Cinema

Io capitano, un film spiazzante. Una fiaba a lieto fine

Candidato all’Oscar come miglior film straniero nel 2024, Io capitano è un film sui migranti, sulla speranza e sul potere della fede. 

Dopo il successo di Pinocchio, Matteo Garrone torna al cinema dirigendo Io capitano, una fiaba contemporanea, a tratti surreale, per sensibilizzare il pubblico sul tema dell’immigrazione.

Con delicatezza magistrale, in Io capitano il regista romano capovolge la prospettiva a cui lo spettatore occidentale è abituato, spogliandola della solita retorica. Il punto di vista diventa quello degli occhi ingenui, profondi e carichi di speranza di due giovani cugini senegalesi.

Io capitano: la trama

Il film racconta il viaggio epico di due cugini sedicenni, Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall) che lasciano la loro terra natia, il Senegal, per raggiungere l’Italia e realizzare i propri sogni.

Ingannati da ciò che vedono attraverso i social e da un’ingenuità tipica della fanciullezza, i due giovani si scontreranno ben presto con la dura realtà del deserto e la spietata natura umana.

Io capitano: la recensione

Le prime inquadrature non catturano immediatamente l’attenzione dello spettatore, disorientato da riprese troppo ravvicinate, attori dilettanti che si esibiscono, gesticolando eccessivamente, in una sorta di pantomima.

All’inizio, si ha quasi l’impressione di assistere a una pellicola girata da un videoamatore, nella quale la presenza della telecamera è fortemente presente. Ma forse è proprio questo l’intento del regista, mostrare gli eventi come se fossero reali, perché sono reali, senza bisogno di grandi scenografie o di un cast stellare.

In Io capitano sono le immagini nude e crude a raccontare ciò che accade, poiché non esistono parole per descriverne l’orrore.

Gli immensi ed espressivi occhi di Seydou, il protagonista adolescente, ci tengono incollati alla poltrona fino alla fine. Occhi che, nonostante le brutalità a cui assistono, continuano ad amare, sognare e a stupirsi.

Sullo sfondo si percepisce l’influenza del grande cinema neorealista, di cui Matteo Garrone è un grande estimatore: la presenza di scene di vita quotidiana all’inizio, la povertà in cui sono immersi i protagonisti, la disperazione e il desiderio di rivalsa attraverso il viaggio della speranza.

Lo sguardo dello spettatore è quello di Seydou, un ragazzo che ama perché sa cosa sia l’amore e prendersi cura degli altri. Cresciuto senza un padre, ma da una madre affettuosa e attenta, in una comunità povera e felice, la partenza del protagonista è dettata solo dal desiderio di garantire un futuro migliore alla sua famiglia, di cui si sente responsabile.

Durante l’intero viaggio, Seydou non abbandona mai la speranza anche quando sembra che il destino trami contro di lui.  La fede e l’amore per il prossimo lo sostengono e lo guidano nella sua trasformazione da ragazzo a uomo “giusto”. Suo  cugino (di cui si prenderà cura), invece, è fragile; una presenza silenziosa, ma fondamentale: è lui a spingerlo a intraprendere il viaggio dell’eroe.

Io capitano, tra disperazione, speranza e fede

Il film è un capolavoro dei sentimenti che arriva dritto al cuore. Attraverso questa pellicola, nella quale disperazione e speranza si alternano in una danza macabra, Matteo Garrone costringe lo spettatore a riflettere  in maniera dura e diretta sul problema dell’immigrazione, dipinto come una piaga dall’occidente.

Egli  mostra senza troppi giri di parole chi si celi veramente dietro  l’aggettivo “immigrato”, ossia un essere umano che chiede soltanto di vivere, amare, sognare, come chiunque altro uomo o altra donna sulla faccia della terra.

E al grido di “Io capitano”, pronunciato più volte dal protagonista sul finale del film, il regista sembra voler suggerire un’inevitabile verità: “Siamo tutti capitani della nostra vita e delle vite altrui. Collegati gli uni agli altri da un unico filo sottile e invisibile. Facciamone ammenda!

I premi

Presentato alla 80esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ha vinto il Leone d’argento come Migliore regia; nel 2024, sempre per la regia, ha vinto il David di Donatello ed è stato candidato all’Oscar nella categoria Miglior film straniero.