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Longlegs, la recensione su Almanacco Cinema (Perkins, 2024)

Longlegs, l’horror che tutti stavamo aspettando

Longlegs richiama i mostri del contemporaneo e ne inventa. Perkins incrocia horror investigativo e soprannaturale, omaggiando i grandi maestri del passato.

Difficilissimo se non addirittura inutile cercare di spiegare la trama di Longlegs che, per quanto interessante e dotata di senso, non rende giustizia al lavoro orchestrale dei suoi musicisti, guidati da un maestro d’orchestra eccezionale.

Longlegs è una sciarpa di lana al collo, di quelle che punge e tiene al caldo, e che Osgood Robert Perkins, il suo regista, tira,stringe e ricuce a suo piacimento. Lo spettatore è una bambola, un manichino che nulla può contro l’inestimabile e appassionato lavoro che questo artista, dalle così affinate sfaccettature è riuscito a regalarci all’alba della fine di un anno burrascoso per il cinema.

Perkins firma la regia e la sceneggiatura del film, dando un esempio di connessione logica – senza mai essere didascalica o chiarificatrice – di una certa idea di famiglia, di genere e, infine, di cinema. Fin dai primi fotogrammi del film è facilissimo intuire i grandi autori che hanno ispirato il regista: da Hitchcock, con un chiarissimo omaggio al regista di Psycho, agli ambienti sospesi di David Lynch fino alla sceneggiatura affilata di Ted Tally (che firma Il silenzio degli innocenti, film al quale molte testate giornalistiche associano il lavoro di Perkins).

E sono d’accordo. Ma c’è qualcosa che sfugge alle regole dell’horror perfetto, alle colonne dogmatiche che costruiscono un certo tipo di cinema e di cinefili ed è il richiamo del contemporaneo, del sottosuolo, del marcio e, quindi, anche del trash. Per questo Perkins crea un horror macchiettistico, disgustoso e artefatto e lo associa a fotogrammi che richiamano Dario Argento e Rob Zombie. Perkins è un appassionato del genere e ha deciso di tessere le regole di un nuovo cinema.

Longlegs (Perkins, 2024)

Hail, Nicolas Cage!

Ambientato all’inizio degli anni ottanta, il film è diviso in tre parti e seguono la storia di Lee Harker (Maika Monroe) che, al suo primo incarico da agente dell’FBI, deve fare luce sul serial killer chiamato Longlegs (Nicolas Cage). Il caso si trova a un punto di svolta quando Harker capisce che gli efferati omicidi hanno in comune i compleanni delle giovani ragazze che fanno parte delle famiglie malcapitate.

Il quattordici diventa da subito un numero maledetto, presagio di sciagura e morte. Harker non è un personaggio semplice e spesso l’inquietudine del film è retta esclusivamente dalla capacità dell’attrice di reggere il disagio dell’agente nell’affrontare la vicenda. Lee ha sangue freddo, vuole capire chi è Longlegs, ma allo stesso tempo viene risucchiata lentamente in una spirale in cui passato e presente si incrociano fino alle scioccanti rivelazioni finali.

La trama non renderà mai abbastanza giustizia alla giostra costruita ad arte da Perkins, che regala un’esperienza cinematografica e radica nel sottosuolo un nuovo caposaldo del cinema horror. Nicolas Cage, che della stranezza ha fatto scuola, permea la pellicola con un personaggio iconico seppur appiattito e accartocciato in se stesso.

Nessuno potrà mai dare una veritiera spiegazione di cosa sia Longlegs e perché giochi i suoi fili, ma d’altronde possiamo dire la stessa cosa del suo creatore. Longlegs è come una matrioska russa che potrebbe continuare all’infinito, fino alla pazzia o fino a rivelare il nulla, sta allo spettatore deciderne il tipo di visione. Di fatto poche cose al mondo mi hanno fatta rabbrividire come Cage, conciato a quel modo, che canta Happy Birthday, mescolando nella sua voce infantilismo, malizia e puro terrore.

Longlegs, la nascita di un cattivo contemporaneo

Non possiamo trovare una motivazione coerente che possa spiegare il significato dietro alla logica dei compleanni, né credo sia la parte divertente della storia. Possiamo supporre che Lee sia una ragazzina cresciuta in isolamento con una madre single iper protettiva e che gli omicidi si incrocino con una storia che parla di rivendicazione della propria indipendenza e, forse, di liberazione dal senso di colpa.

Credo che sia importante che ognuno legga questa storia rispetto alla stratificazione che desidera, perché nel capolavoro di Perkins ogni livello funziona in modo eccellente.

Lo schermo si allarga e si stringe e si piega nella volontà di raccontare il passato, il presente, l’interiorità e la tragedia. La sequenza iniziale racchiude l’inquadratura in un piccolo riquadro dalla filigrana quasi sbavata, reminiscenza dei film found footage degli Anni Settanta.

L’immagine poi si apre nel raccontare la vicenda investigativa. Le simmetrie, chiaro omaggio al maestro Hitchcock, si distorcono nel corso della storia e si riappropriano di vero-somiglianza: è il momento dello svelamento della storia, il momento in cui il regista lascia il posto all’autore.

Longlegs crea un cattivo contemporaneo, nato dalle paure ancestrali che hanno fatto nascere la paure di oggi. Sembra riprendere le fila della strega di Blair, dello Slanderman, delle vecchie quanto attuali inquietudini eviscerate dal gioco dell’assurdo, di ciò che è strano e non abitudinario, creando inquietudine e disgusto. Longlegs ricrea tutto ciò a cui non siamo ancora abituati ad affrontare e per questo funziona.

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