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unbreakable, recensione di almanacco cinema

Unbreakable: tra le prime origin story cinecomic

Unbreakable: dal regista di Sesto senso, M. Night Shyamalan, un’origin story cinecomic dalle tinte noir, in cui l’azione lascia il passo alla suspense.

Uscito quasi 25 anni fa, il 14 novembre del 2000 a New York, Unbreakable (Il Predestinato) è  il primo film di una trilogia del regista indiano M. Night Shyamalan, incentrato sulla nascita di un supereroe e la sua nemesi, il villain.

Unbreakable è un racconto sull’uomo e sui suoi meccanismi psicologici sottesi al bene e al male. Ma è anche celebrazione del fumetto come Ottava Arte e specchio di ciò che l’essere umano è, con i suoi limiti, o quello a cui potrebbe ambire se solo riuscisse ad abbandonare le proprie credenze limitanti, come si evince dalla frase pronunciata da uno dei due protagonisti, il villain Elijah:

“Sono tempi mediocri, signora Dunn. La gente comincia a perdere la speranza. Per molti è difficile credere che ci siano cose straordinarie dentro di loro, come dentro chiunque altro”.

Unbreakable, recensione di almanacco cinema

Unbreakable, la trama

David Dunn (Bruce Willis) è un uomo comune e depresso. Lavora come guardia giurata allo stadio di Philadelphia, ha un figlio e una moglie con la quale non parla quasi più (Robin Wright). Un giorno, il treno sul quale viaggia deraglia e lui è l’unico a uscirne vivo e indenne.

Poco dopo,  viene contattato da Elijah Price (Samuel L. Jackson), il proprietario di una galleria d’arte di fumetti, affetto da una grave malattia alle ossa, che ha seguito la catastrofe. L’uomo gli espone la teoria degli opposti, sostenendo che ogni cosa esistente nel cosmo debba avere l’equivalente opposto affinché ci sia armonia. E in lui vede il suo: l’uomo indistruttibile, dai superpoteri come i supereroi.

Inizialmente Dunn pensa che Elijah sia solo un pazzo, ma poi comincia a credere che possa avere ragione.

unbreakable, la recensione di almanacco cinema

Unbreakable, la recensione

Definito da Tarantino come uno tra i migliori 20 film realizzati dopo il 1992, presentato agli esordi come un thriller psicologico, Unbreakable sorprende per i contenuti metanarrativi, l’uso della suspense e la capacità di dipingere i personaggi, con poche e semplici pennellate.

Precisi movimento di macchina, riprese dall’alto e alcune frasi ad effetto sono sufficienti a conferire la giusta atmosfera, spessore e carattere ai personaggi, senza scadere nella retorica e nel didascalico.

Il ritmo dialogico lento, ma mai ammorbante, si sposa col clima introspettivo messo in risalto da una fotografia che gioca sui chiaroscuri, simili alle tavole dei fumetti, permettendo allo spettatore di calarsi per 110 minuti in un mondo in cui l’irreale si confonde col reale.

Dove alla fine si è quasi portati a credere che possano esistere realmente i supereroi. Non quelli della Marvel e Dc simili a Dei, ma esseri umani dall’aspetto anonimo, capaci di combattere il male senza troppi orpelli o nomi altisonanti.

Il protagonista Dunn, infatti,  non ha un nome che lo identifichi come supereroe (lo avrà al termine della trilogia) e nemmeno  un costume. Si avvale solo di una mantella grigia per nascondersi e soprattutto proteggersi dalla pioggia, essendo l’acqua la sua criptonite.

I personaggi

Unbreakable è composto da un cast d’eccezione in cui ogni attore è ben calato nella parte. Ma a spiccare a livello recitativo è sicuramente l’attore Samuel L. Jackson, magistrale nel ruolo del villain Elaijah, l’uomo di vetro.

Ottima anche l’interpretazione di Robin Wright (la moglie) e del figlio (Spencer Treat Clark) già protagonista accanto Bruce Willis ne Il Sesto Senso.

Conclusioni

Il talentuoso regista indiano Shyamalan con Unbrakable  ha dato inizio a un nuovo modo di fare cinecomic, risaltando le fragilità del supereroe. Debolezze nelle quali l’uomo può riconoscersi e sperare di trasformare in superpoteri.

Recensione a tre stelle su Almanacco Cinema