Skip to content Skip to footer
Queer, la recensione su Almanacco Cinema

Venezia 81, le anteprime: Queer, la recensione

Luca Guadagnino approda al Lido di Venezia con Queer, tratto dall’omonimo romanzo di William Burroughs, presentato in concorso.

Il regista italiano, a poco tempo da Challengers, torna dietro la macchina da presa e confeziona uno dei film più intimi e sentiti della sua carriera, e naturalmente anche dell’Ottantunesima edizione del Cinema di Venezia.

Queer, la trama

Il protagonista Lee (Daniel Craig) si muove tra le strade e i saloon di Città del Messico dove trascorre il tempo alla ricerca di sesso, nascondendo il disagio di un passato oscuro tra droga e alcool. La sua vita cambierà dopo l’incontro con un ragazzo, Gene Allerton (Drew Starkey), da cui è immediatamente attratto.

Lee e Gene cominceranno a frequentarsi ma fin da subito inizia a prendere forma un rapporto controverso, in cui Gene non si concede mai completamente al nostro protagonista. Lee deciderà quindi di intraprendere, con Gene, un lungo viaggio spirituale alla ricerca di una droga, lo yage, in grado di unirli.

Da queste premesse Guadagnino firma un film che segna un’evoluzione significativa all’interno della sua filmografia. Il regista, grazie alla storia di Lee, intraprende un lungo viaggio esistenziale, un viaggio al termine della notte, come ci insegna la grande letteratura del Novecento, in cui la meta forse diventa irraggiungibile.

I corpi in Queer

Fin dalle prime scene colpisce una messa in scena elegante e geometrica nell’inquadrare i corpi in relazione agli spazi in cui si muovono. Nel cinema di Guadagnino è fondamentale l’importanza dei corpi e la fisicità dei personaggi, tra desideri e pulsioni represse.

In Queer la ricerca del regista giunge ad una piena maturità stilistica, i corpi diventano l’oggetto del desiderio ma allo stesso tempo vengono rappresentati in tutta la loro fragilità, da scene di sesso fino all’assunzione dello yage (in cui le allucinazioni si trasformeranno uno scambio fisico surreale). Fino al finale in cui il corpo martoriato e raggrinzito di Lee diventa metafora del cinema di Guadagnino.

L’interpretazione di Daniel Craig

La ricerca fisica e spirituale non sarebbe stata possibile senza l’interpretazione di Daniel Craig (che si candida prepotentemente ad una nomination in vista degli Oscar). L’ex James Bond restituisce corpo ed anima alla macchina da presa che lo seguirà ossessivamente nel suo viaggio alla ricerca dello yage, la droga che pensa possa risolvere la drammaticità di un’intera esistenza.

Grazie a questa struggente interpretazione, racchiusa tra la sua debolezza e l’incapacità di amare, ci troviamo davanti a quella che probabilmente è la migliore interpretazione della carriera di Daniel Craig.

In conclusione

Queer è un film sulla complessità dell’amore visto dagli occhi di un personaggio vittima della sua inadeguatezza. Una storia che diventa un racconto intimo e profondamente sentito, in parte autobiografico, dell’autore Burroughs e, poi, del regista Luca Guadagnino.

Il film, forse a tratti eccessivo, commuove lo spettatore che difficilmente rimarrà impassibile davanti all’anima di un progetto così seducente, firmato, ancora una volta, da Guadagnino.

Recensione a tre stelle su Almanacco Cinema