Skip to content Skip to footer
Avetrana - Qui non è Hollywood, la recensione su Almanacco Cinema

Festa del Cinema di Roma: Avetrana – Qui non è Hollywood, la recensione

Avetrana – Qui non è Hollywood è stata presentata in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. La serie debutterà sulla piattaforma Disney+ il 25 ottobre. 

Pippo Mezzapesa decide di addentrarsi all’interno di uno dei fatti di cronaca più violenti della nostra storia recente, l’omicidio di Sarah Scazzi. Il delitto avvenne in quel di Avetrana, un piccolo paese della Puglia, il 26 agosto 2010.

Il regista è anche autore assieme ad Antonella W. Gaeta, Davide Serino, Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni. Gli sceneggiatori, all’interno della serie, decideranno di assumere un punto di vista diverso per tutti i quattro episodi, ognuno incentrato sulla prospettiva di un personaggio diverso: Sarah, Sabrina, Michele e Cosima.

La serie punta a diversi generi, principalmente al true crime ma non mancano accenni al grottesco e, a tratti, all’horror.

Avetrana – Qui non è Hollywood, perché è da vedere?

Se, fin dal trailer, la sensazione poteva essere quella di imbattersi in una serie che guardasse pedissequamente al cinema americano, questo presentimento viene scongiurato fin dalle prime inquadrature.

Mezzapesa sa bene che la sua serie, Avetrana – Qui non è Hollywood, per mantenere una certa autonomia non può adeguarsi ad una regia che si limita a ricostruire le geometrie del thriller. Il regista riesce, con gran mano, a dipingere un limpido affresco del contesto sociale, la piccola realtà di Avetrana, in cui si muove la piccola Sarah.

Ed è così che, soprattutto nella prima puntata, il cinema del regista si sofferma sugli sguardi, sugli  spazi ma soprattutto sui corpi. La sceneggiatura si interroga sull’origine della violenza che porterà all’omicidio di Sarah. La risposta a questa domanda si nasconde nel suo stesso mondo insensibile di fronti a tutti i sentimenti, dal male all’amore.

Saranno i dettagli  a catapultare lo spettatore in una chirurgica rappresentazione del male (come canta Marracash, nell’inedita canzone La banalità del male). La pancia di Sabrina, il suo essere “cozza”, il senso di inadeguatezza nei confronti di Sarah diventano il preludio della violenza che vedremo negli ultimi episodi.

Tra i tanti pregi, uno degli elementi che più ci ha colpito è la rappresentazione, nel primo episodio, dell’ adolescenza di Sarah. La ragazza, prossima a diventare una donna, è rappresentata con una prospettiva congeniale alla piccola adolescente. Viene ritratta in tutta la sua curiosità e semplicità, schiacciata da un paese che soffoca la sua dirompente voglia di crescere e di amare.

Il ritratto di tutti i personaggi è sempre profondo, propenso a creare un’empatia travolgente.

Avetrana – Qui non è Hollywood offre un originale spaccato dell’Italia

Alla lucida ricostruzione dei protagonisti si aggiunge una chirurgica ricostruzione storica, dei tempi in cui avvenne il delitto, il 2010. Anni caratterizzati da una trasformazione tecnologica velocissima. Dal passaggio dei primi smartphone al primo utilizzo della segreteria telefonica,  diventano tutti elementi fondamentali all’interno di un serie che fa della sua forza i dettagli.

Quegli  stessi anni erano anche segnati dall’impatto travolgente dei media. Il regista inserisce con grande coerenza all’interno dell’impianto narrativo l’imminente arrivo delle televisioni nel paese dopo la scomparsa di Sarah. Dal secondo episodio Avetrana si trasformerà in una piccola Hollywood, invasa dai media assetati di notizie che diventeranno protagonisti della serie. Mezzpesa ne dipinge così la natura ambivalente, da un lato la loro artificiosità ed ipocrisia e dall’altro la nobile possibilità di arrivare alla verità, come dimostra la giornalista, interpretata da Anna Ferzetti.

Nostro malgrado negli ultimi due episodi la serie rischia di rimanere imprigionata ad un impianto narrativo troppo collaudato. L’incredibile vitalità ed energia dei primi episodi finisce per risentirne. Anche negli ultimi due episodi lo spettatore più esigente però non rimarrà deluso dall’incredibile regia di Mezzapesa che continua, durante tutto il corso della serie, a muoversi tra il thriller e l’horror con grande abilità.

La nostra considerazione finale

Avetrana – Qui non è Hollywood è assolutamente imperdibile. Il regista guarda alla grande serialità e cinema americano, da True Detective ai fratelli Coen, senza mai inciampare in un fastidioso citazionismo. Solo così riesce a confezionare una miniserie piena d’identità che riesce costantemente a spaziare su più generi.

Avetrana ci insegna che si possono ancora realizzare grandi serie di qualità anche in Italia, e non è mai tardi per riprendere in mano un tipo cinema che solo noi possiamo fare.

Show CommentsClose Comments