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Wayward – Ribelli (2025), la recensione
Uscita a ottobre 2025, Wayward – Ribelli è una serie inquietante capitanata da un’attrice a dir poco camaleontica: Toni Collette. L’abbiamo recensita per voi.
Di storie di comunità inquietanti e di plagio di giovani vite ne è piena, oltre che il cinema, anche la realtà. Non è un caso, infatti che Wayward, serie Netflix uscita meno di un mese fa sulla piattaforma di streaming, prenda ispirazione da fatti realmente avvenuti. Regalando agli spettatori una storia inquietante, non particolarmente originale, ma ben scritta e interpretata. Ma andiamo per gradi.
Wayward, la trama
In una tranquilla cittadina di nome Tall Pines, sorge la Tall Pines Academy, una scuola per adolescenti “in difficoltà” che promette riabilitazione. Ma dietro questa facciata benevola si nascondono segreti inquietanti. Quando uno studente tenta di fuggire, emergono misteri più grandi di quanto si potesse immaginare, coinvolgendo non solo gli studenti, ma anche le figure più influenti della comunità.
Tre piani narrativi (e tre dimensioni temporali)
La serie si dipana su tre piani diversi: da una parte ci sono due amiche, Abbie e Leila, l’una perseguitata dal proprio passato, l’altra schiacciata da una famiglia che ripone in lei troppe aspettative e la tiene costantemente sotto torchio. Arrivate a un punto di rottura, le due inizieranno, in tempi diversi, il proprio (oscuro) viaggio dell’eroina.
Un’altra linea narrativa vede un nuovo poliziotto, Alex Dempsey (interpretato dal creatore della serie Mae Martin), che si trasferisce a Wayward Pines con la moglie incinta, Laura Redman (Sarah Gadon). Alex sarà il personaggio chiave, colui che avrà l’acume e la lucidità di mettere in discussione la realtà circostante e creare crepe in un’inquietante realtà.
Dulcis in fundo, c’è la carismatica Evelyn Wade, direttrice della Tall Pines Academy, attorniata dalla sua squadra di operatori e dai giovani “residenti” dell’Accademia.
Anche a livello temporale ci sono piani molteplici, con l’utilizzo di flashback per illustrare gli antefatti legati ai personaggi principali: l’oggi è situato verosimilmente nei primi anni Duemila, e si torna indietro di pochi mesi fino a tornare agli anni Settanta per raccontare la backstory di Evelyn.

Wayward, le interpretazioni
Veniamo al cast, capitanato da una magnifica e oscura Toni Collette, tornata a un ruolo inquietante dopo Hereditary di Ari Aster, interprete sempre versatile e credibile. Le fanno eco le due giovanissime interpreti di Leila e Abbie, rispettivamente Alyvia Alyn Lind e Sydney Topliffe, la cui chimica sul set è tangibile e restituisce il ritratto credibile di due amiche per la pelle, quasi fusionali, che condividono gioie e dolori dell’adolescenza e si trovano ad affrontare insieme alcune disavventure, facendosi scudo a vicenda.
Il volto puro di Sarah Gadon, già noto agli spettatori Netflix (è stata la protagonista della serie Alias Grace), ben incarna la gioia di vivere e la purezza, mista a un passato misterioso e ai traumi subiti da ragazzina. Rievocando quella doppia faccia mostrata nei panni di Grace Marks.
Concludiamo la carrellata con Mae Martin, delicato quanto basta per impersonare un agente di polizia transgender ma dotato di grande acume, un personaggio al quale Martin riesce a restituire una certa verosimiglianza.
Un punto di vista queer privo di stereotipi
In Wayward, la dimensione queer non è un semplice elemento decorativo né una sottotrama accessoria: è il cuore emotivo e politico della serie. Mae Martin, persona non binaria e creatrice dello show, porta sullo schermo una narrazione che esplora con sensibilità le identità queer e le tensioni che nascono quando queste identità vengono schiacciate da istituzioni oppressive.
La Tall Pines Academy è un luogo che predica la “correzione” e la “trasformazione” dei giovani considerati problematici. In questo contesto, essere queer diventa un atto di disobbedienza, un rifiuto di adattarsi ai ruoli e alle etichette che l’istituzione impone. La serie mette in scena come il controllo psicologico cerchi di annientare la diversità, rendendo l’identità queer una linea di demarcazione tra libertà e conformismo.
Va riconosciuta la capacità di Martin di mettere in scena personaggi queer credibili, sfaccettati, lontani dagli archetipi televisivi. Non sono figure simboliche né caricature, ma giovani che vivono desideri, paure, fragilità e coraggio. Le loro storie non ruotano unicamente intorno all’essere queer, ma l’identità influenza profondamente il modo in cui si relazionano al mondo e al potere che li circonda (anche se vivono in modo sereno il proprio essere).
Il motto manipolatorio dell’Accademia (“See who you really are and do something about it”) viene ribaltato attraverso la prospettiva queer. Gli adulti della scuola pretendono di “rivelare” la verità interiore dei ragazzi per piegarli. I giovani non conformi, invece, cercano di affermare la propria verità contro chi la vuole cancellare. La serie mostra quanto possa essere violento il linguaggio pseudo-terapeutico quando mira a reprimere identità non conformi.
La sensibilità di Martin emerge non solo nella rappresentazione di personaggi queer, ma nella struttura tematica della serie: Wayward parla di controllo, di identità spezzate e ricostruite, dell’illusione che esista una versione “giusta” di sé da raggiungere. È una critica alla cultura delle “cure”, dei “programmi terapeutici” e della punizione camuffata da benevolenza — temi che toccano da vicino la comunità queer e trans, storicamente bersaglio di pratiche di “correzione”.
Wayward, elementi biografici e riferimenti reali
Mae Martin ha attinto alle proprie esperienze adolescenziali per costruire la serie, ispirandosi a dinamiche e metodi che ricordano da vicino quelli della famigerata CEDU, una struttura per “ragazzi problematici” chiusa dopo decenni di abusi, sparizioni e scandali.
Molti elementi dello show, dalla Tall Pines Academy e i suoi rituali psicologici, alle fughe disperate degli studenti, fino alle complicità con la polizia locale, riecheggiano eventi realmente documentati. In particolare, la storia del personaggio Daniel rieporta alla mente la misteriosa scomparsa del vero Daniel Yuen, mai ritrovato.
La figura magnetica e inquietante di Evelyn Wade, interpretata da Toni Collette, affonda le sue radici nel culto Synanon, da cui derivano anche le brutali “terapie” di gruppo rappresentate nella serie. Le connessioni con la realtà emergono anche nella sottotrama dell’agente Alex e del blogger-investigatore Maurice, che ricalca sorprendentemente un caso reale di una detective californiana e un sopravvissuto della CEDU.
Nonostante la produzione insista sul fatto che ogni somiglianza sia casuale, Wayward continua a risuonare con testimonianze e vicende autentiche. La serie è fiction, sì, ma le sue ombre non vengono tutte dalla fantasia: molte arrivano direttamente dal mondo reale, dove certi abusi — purtroppo — esistono ancora oggi.
Note stonate: il doppiaggio di Alex
Consigliamo di vedere la serie in lingua originale, anche solo per non dover sentire la voce doppiata malamente del personaggio di Alex, a riprova di quanto crei problemi, ancora oggi, doppiare personaggi non binari. Pensando ad altre serie Netflix, come Orange Is the New Black, con un personaggio come quello della carcerata transgender Sophia Burset per la voce italiana si era trovata la giusta dose di femminilità unita a un tono un po’ più grave. Alex, invece, parla come un topolino di Cenerentola, avendo già, come ammette lo stesso personaggio nella serie, l’aspetto di “Maculay Culkin bambino”.
No, non è Wayward Pines
Occhio a non confondere questa serie con Wayward Pines, serie di mistero uscita nel 2015 che ha per protagonista Matt Dillon e non è collegata in alcun modo a questa.
In conclusione
Questa serie parte da premesse poco innovative per svilupparsi in un climax ascendente di atmosfere inquietanti che tengono lo spettatore incollato alla sedia. Tra traumi rimossi, lavaggi del cervello e metodi di insegnamento e riabilitazione poco ortodossi, Wayward – Ribelle parla dell’importanza di preservare la propria identità a qualsiasi costo, in un’epoca che ci vorrebbe annichilire e piegare.
Lo fa avvalendosi di ottimi interpreti e di una buona sceneggiatura, e avvalendosi di un punto di vista spiccatamente queer come quello del creatore Mae Martin, che riesce a sviluppare un racconto privo di stereotipi.
La serie, molto criticata online, è invece un buon prodotto, del quale sarebbe interessante vedere una seconda stagione.
🎬 Valutazione
Regia
★★★★★
Interpretazioni
★★★★★
Storia
★★★★★
Emozioni
★★★★★
🏆 Voto Totale
3.5
★★★⯨★