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The Beast in Me, la recensione
The Beast in Me convince per atmosfere e messa in scena, ma tradisce le attese con colpi di scena telefonati e una protagonista eccessiva.
The Beast in Me è una miniserie che si propone come un thriller psicologico elegante e introspettivo, costruito su un’atmosfera inquieta e un continuo gioco di specchi tra i protagonisti. Pur muovendosi su binari narrativi classici, cerca di distinguersi attraverso una cura formale molto marcata e una relazione centrale che dovrebbe sostenere l’intero impianto emotivo della storia. Tuttavia, dietro questa superficie raffinata emergono fragilità che rallentano il ritmo e ne compromettono l’efficacia complessiva.
Nelle crepe dei personaggi
La serie segue Aggie Wiggs (Claire Danes), una scrittrice premiata che soffre di un blocco creativo durante la stesura del suo nuovo libro, aggravato da uno stato depressivo dovuto dal dolore per la perdita del figlio. Nel suo vicinato vi si trasferisce Nile Jarvis (Matthew Rhys), un miliardario tanto affascinante quanto inquietante, avvolto da numerose indiscrezioni, in particolare riguardo la misteriosa scomparsa della sua prima moglie. Attratta dalla possibilità di scrivere un libro su di lui, Aggie inizia a frequentarlo sempre più spesso, trascinata in una relazione ambigua in cui curiosità professionale, attrazione emotiva e autodistruzione finiscono per mescolarsi. La serie costruisce così un progressivo avvicinamento tra due personalità danneggiate, in un crescendo di dipendenze, sospetti e bugie.
L’eleganza della regia di The Beast in Me
Una delle componenti più riuscite della serie è certamente la sua messa in scena. La regia sfrutta con intelligenza ambienti, primi piani e silenzi, scegliendo un ritmo lento ma denso, pensato per enfatizzare le tensioni interne più che l’azione esterna. La fotografia è altrettanto curata: predilige toni freddi, luci soffuse e un uso sapiente degli spazi domestici, spesso trasformati in luoghi claustrofobici o profondamente ambigui. Questo lavoro visivo riesce a dare un peso concreto alle emozioni dei personaggi, creando un’estetica elegante che cattura lo spettatore anche nei momenti in cui la narrazione tende a sfilacciarsi.

Le interpretazioni: chimica forte, equilibrio fragile
La serie poggia quasi interamente sulla relazione tra Claire Danes e Matthew Rhys, e la loro chimica rappresenta uno dei motori più potenti del racconto. Rhys offre un’interpretazione impeccabile, misurata e sottilmente inquietante: un uomo che sembra sempre nascondere qualcosa, senza mai rivelarsi apertamente, riuscendo così a mantenere alta la tensione con piccoli gesti e sguardi precisi e calibrati.
Danes, al contrario, sceglie un registro molto più esposto e agitato, e qui forse la serie mostra la sua maggiore fragilità. La sua Aggie è costantemente sull’orlo del collasso, con espressioni e reazioni spesso sopra le righe, che finiscono per caricaturizzare ciò che dovrebbe essere la rappresentazione intima di un dolore profondo. La chimica tra i due esiste, ma è sbilanciata: la precisione di Rhys mette ulteriormente in evidenza l’eccesso interpretativo di Danes, creando un contrasto che non sempre giova alla credibilità della storia.
Colpi di scena che non sorprendono
Un altro elemento che indebolisce la serie è la prevedibilità di alcuni snodi narrativi. The Beast in Me ambisce a costruire un gioco psicologico raffinato, ma spesso ricorre a colpi di scena annunciati con largo anticipo. Molte rivelazioni arrivano senza vera sorpresa, perché ampiamente suggerite da dialoghi troppo espliciti o da scelte registiche che anticipano ciò che dovrebbe rimanere ambiguo. Alcune svolte, invece di intensificare la tensione, la depotenziano proprio perché facilmente intuibili, rendendo l’esperienza meno coinvolgente per lo spettatore più attento. È come se il racconto, nel tentativo di guidare il pubblico, finisse per spiegarsi troppo, perdendo quella zona d’ombra che un thriller psicologico dovrebbe preservare con cura.
A tutto questo si aggiunge una struttura troppo estesa: la serie è chiaramente più lunga di quanto richiederebbe la sua storia. Gli otto episodi contengono ripetizioni tematiche e scene ridondanti che avrebbero potuto essere facilmente condensate. Ridurre la serie di un paio di episodi avrebbe reso il ritmo più compatto, la tensione più incisiva e l’arco emotivo dei protagonisti più credibile.
In conclusione…
The Beast in Me è un prodotto visivamente affascinante, interpretato con forza da Matthew Rhys e supportato da una regia e una fotografia davvero notevoli. Tuttavia, l’interpretazione eccessivamente caricata di Claire Danes, un ritmo troppo diluito e colpi di scena troppo prevedibili impediscono alla serie di esprimere appieno il proprio potenziale.
🎬 Valutazione
Regia
★★★★★
Interpretazioni
★★★★★
Storia
★★★★★
Emozioni
★★★★★
🏆 Voto Totale
2.8
★★⯨★★