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Il cinema di Ingmar Bergman: L’ora del lupo
Per la rubrica settimanale Il cinema di Ingmar Bergman, oggi parliamo de L’ora del lupo, uno dei film più enigmatici del regista svedese.
Quest’opera unisce: autobiografia, horror psicologico, riflessione artistica ed un forte simbolismo, mantenendo una forma volutamente ambigua tra sogno, incubo e realtà. Ispirato al manoscritto intitolato I mangiatori d’uomini, il film è una discesa nell’incubo dell’artista, tra follia, visioni e senso di colpa.
Arte e follia
Johan Borg, pittore ritiratosi con la compagna Alma su un’isola sperduta, è preda di allucinazioni sempre più violente. Vede figure grottesche, deformi, i cosiddetti “mangiatori d’uomini”, che sembrano nutrirsi della sua mente. Queste presenze non sono solo proiezioni psichiche, ma rappresentano le forze distruttive che logorano l’artista: la società, i critici, i mecenati, ma anche i suoi stessi demoni interiori. Bergman descrive la creazione artistica come malattia, come prezzo da pagare per una sensibilità fuori dall’ordinario. Johan non riesce più a distinguere la realtà dalla fantasia, e il confine tra genio e follia si fa sempre più sottile.
Luogo dell’anima
Girato a Hovs hallar, nella riserva naturale di Skåneleden, il film evoca fortemente l’isola di Fårö, luogo reale e simbolico dove Bergman si rifugiava dal mondo. Il paesaggio spoglio, roccioso e quasi lunare, diventa specchio dell’anima dei personaggi: vuoto, freddo, inospitale. Il bianco e nero è usato in modo drammatico, con forti contrasti, ombre nette e bagliori bruciati, per accentuare l’ambiguità visiva e immergere lo spettatore in un universo privo di punti fermi.
Tra notte e incubo
Il titolo si riferisce a un’antica credenza scandinava: l’ora del lupo è quel momento tra le 3 e le 5 del mattino, in cui nascono e muoiono più persone, in cui l’insonnia è più profonda e gli incubi sono più reali. È anche l’ora in cui, secondo il protagonista, la paura prende il sopravvento. L’intero film è costruito su un incubo lucido. La narrazione è frammentata, la realtà è costantemente messa in discussione. Le immagini crude, deformate, inquietanti, sono pensate per spingere lo spettatore dentro la psiche malata del protagonista, senza vie di fuga.
Teatro, maschere e allucinazioni
I personaggi che tormentano Johan sembrano usciti da una commedia dell’assurdo: parlano come attore in scena, indossano maschere, ridono in modo disturbante, si muovono in ambienti che sfidano la logica spaziale. Bergman, uomo di teatro oltre che di cinema, usa questi elementi per confondere ulteriormente i livelli di realtà. La follia non è mai mostrata come semplice perdita di controllo, è addirittura spettacolarizzata, messa in scena, performata.
Alma
Al centro del film c’è la relazione tra Johan e Alma, interpretata da Liv Ullman, compagna del regista della vita reale. Alma ama Johan, lo protegge, ma non riesce a salvarlo. È l’occhio dello spettatore: lucido, razionale, ma sempre più smarrito. La coppia rappresenta il tentativo di salvare l’amore dalla follia, un tema caro a Bergman, spesso ispirato dalle sue vicende personali. Alma è forse l’unica ancora di realtà, ma anche lui rischia di essere trascinata nel baratro.
Un film che non vuole spiegazioni
Bergman stesso dichiarò che L’ora del lupo non doveva essere spiegata, ma vissuta come un sogno. Il film è volutamente aperto, simbolico, disturbante. Non ci sono soluzioni, non c’è catarsi. Solo una domanda: può l’arte salvare chi la crea, o è destinata a consumarlo?
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