Per la rubrica settimanale Piccolo grande cinema, parliamo di un’autore brillante, nato dal mondo dei corti che non ha mai abbandonato: Martin Scorsese.
Molto spesso, nel caso di giovani autori indipendenti che vengono fuori da scuole di cinema ed accademie, il cortometraggio rappresenta molto spesso la prima tappa di un potenziale percorso proprio nell’industria cinematografica. Un biglietto da visita con cui esporre le proprie abilità e caratteristiche. A volte, invece, è solo un’opera come un lungometraggio.
Da poco uscita su Apple TV, Mr. Scorsese è la mini serie in cinque episodi da un’ora che racconta della vita e della carriera del maestro del cinema Martin Scorsese. E, la docuserie, riesce a dedicare, seppur per breve tempo, un po’ di spazio anche ai lavori del cineasta italoamericano prima del suo esordio sul grande schermo.
Da giovane studente liceale, realizza il suo primo corto amatoriale con un gruppo di amici. Nel 1959, Vesuvius VI diventa la prima cosa mai ripresa dal maestro – gli unici pezzi reperibili sono nella nuova docuserie di Rebecca Miller – una storia di un detective nell’antica roma, una parodia dei gialli televisivi. Da giovane studente universitario, continua il suo percorso, senza mai relegare l’arte dei corti a mero mezzo di passaggio verso il cinema.
Nel 1963, Scorsese inizia a farsi notare quando realizza il suo primo vero cortometraggio – oggi disponibile gratuitamente su youtube e nella Criterion Collection – un lavoro a budget zero che mischia una comune storia d’amore ad un sottosuolo onirico e surreale, con un altissimo grado di satira e di movimenti della cinepresa molto avanti rispetto ai lavori dell’epoca. Già si sente l’influenza dei suoi maestri futuri, come John Cassavetes.
L’anno successivo, il maestro realizza il corto che anticipa di gran lungo moltissimo di quello che farà più avanti. A partire dal suo protagonista – il gangster italoamericano Murray – il modo in cui parla direttamente alla camera e come riesca ad indirizzarla, rompendo la quarta parete. Si rifà sentire la sua vena estremamente sarcastica, che deride il mondo in cui Martin Scorsese stesso è cresciuto. Tutte cose che si rivedono in Mean Streets e Quei bravi ragazzi.
Nel 1967, il maestro esce dalla New York University con The Big Shave, presentandosi al grande pubblico con questo ossessivo ritratto di fine anni ’60 americani, che incorpora in sè la violenza distintiva del regista e gli orrori della società bianca borghese statunitense del tempo. Semplicemente, una delle opere più semplici e belle di sempre.
Escludendo i due stupendi documentari mediometraggi degli anni ’70 – Italoamericani e Ragazzo americano – Scorsese torna nel piccolo formato del cinema nel 1990, quando realizza un corto sul re della moda, da poco passato a miglior vita, Giorgio Armani. La stima tra i due aveva oltrepassato l’amicizia, diventando un rapporto collaborativo iniziato lo stesso anno e che ha raggiunto l’apice in Casinò e The Wolf of Wall Street.
Nel 2007, Scorsese regala ai cinefili di tutto il mondo una delle sorprese più gradite: sono state ritrovate tre pagine e mezzo di un film mai realizzato di Alfred Hitchcock dal nome The Key to Reserva. Martin Scorsese gli da carne ed ossa, in un cortometraggio muto che omaggia sapientemente Rapacità e Intrigo internazionale, per poi finire con un grande colpo di scena, che non viene dalla mente del maestro della suspense.
Se gli anni ’70, ’80 e ’90 sono stati segnati dalla coppia Scorsese-De Niro, i primi venticinque anni di questo millennio sono stati marchiati dal duo Scorsese-DiCaprio. In The Audition, corto pubblicitario del 2015, i due attori feticci del regista si ritrovano al cospetto di quest’ultimo, a battersi per conquistare un posto sul nuovo film.
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