Skip to content Skip to footer

Scorsese racconta Scorsese: Il mio viaggio in Italia

Nessuno fa cinema come Scorsese, nessuno fa documentari come Scorsese. Il mio viaggio in Italia è l’opera metacinematografica d’eccellenza.

La vita è un viaggio. Ognuno di noi ha un punto di partenza sicuro ed uno d’arrivo ancora più sicuro. Le nostre scelte fanno in modo che, prima di arrivare al punto finale Z, prima passiamo per un punto B, un punto C, ecc. Il cinema ci dà l’opportunità di raccontare un qualcosa come questo in un tempo inferiore rispetto a quelli della vita reale, forse aggiungendo anche emozioni che non avremmo mai potuto provare senza.

Così, Martin Scorsese continua un viaggio che lo fa passare da un punto all’altro, nella maniera più imprevedibile possibile, in un momento lavorativo ricco ma sentimentalmente distruttivo. Produce un film uno dopo l’altro, da documentari a film narrativi, interpreta ruoli – La dea del successo di Albert Brooks. Ma, dall’altra parte, molte perdite lo segnano: come visto nello scorso numero, il padre Charles Scorsese muore nel 1993 e non solo.

Kundun

Nel 1997, il 6 gennaio, Catherine Scorsese muore. Era la mamma di Martin, era la persona più vicina a lui, la sua consigliera e la sua spalla. Il peso che si lascia dietro è immenso e ricade tutto sulle spalle del figlio, che, lo stesso anno, si divorzia. Inizia una fase di contemplazione sul passato e sul futuro, mentre il presente gli bussa alla porta: la Universal gli offre di dirigere Kundun. Lui accetta di adattare l’autobiografia di Tenzin Gyatso.

La storia segue una parte di vita del 14esimo ed attuale Dalai Lama del Tibet, dalla nascita fino a quando fu costretto all’esilio in India dopo l’occupazione cinese. Il film passò dalla Universal alla Disney, risultando in un distanziamento collettivo dal progetto per via delle ripercussioni in Cina, proprio come successe con L’ultima tentazione di Cristo. Il film fallì, non solo commercialmente: la sua eleganza e classe – grazie a Roger Deakins e Dante Ferretti – rispecchia l’idea meditativa della narrazione, che però risulta troppo compassata.

Al di là della vita

Con Kundun Scorsese voleva meditare sui vivi, con Al di là della vita voleva riflettere sui morti. Dopo essersi sposato con Helen Morris, nel 1999 il regista torna a collaborare con Paul Schrader su una sceneggiatura ironicamente cupa e che riprende moltissimo da Taxi Driver e da Fuori orario. Al centro di questo folle thriller drammatico c’è Frank Nicholas Cage all’apice – un paramedico insonne e depresso che non più riesce a salvare nessuno.

Le cose inizieranno a cambiare quando incontra MaryPatricia Arquette – il cui padre ha subito un arresto cardiaco e, soprattutto, quando entra in contatto con la religione e diverse voci allucinogene gli parlano. Le opere di Robert Bresson e Van Morrison influenzano rispettivamente l’idea spirituale ed il buio ritmo frenetico del film. L’esorcismo di Marty per la morte dei genitori funziona a metà: per noi e per lui, ma non per il pubblico. Altro flop.

Il mio viaggio in Italia

Il mio viaggio in Italia

Lo stesso anno di Al di là della vita – titolo originale Bringing Out the Dead – Scorsese realizza un documentario fondamentale, estremamente metacinematografico. Una delle opere più significative mai realizzate sul cinema. Il mio viaggio in Italia non è solo un omaggio di quattro ore al cinema che il maestro tanto ama, ma è un articolato saggio su un paese e sul suo riflesso attraverso la settima arte.

Da Rossellini a Visconti, passando per Antonioni e De Sica, Scorsese evidenzia l’importanza del cinema italiano ed in particolare del neorealismo sull’arte internazionale e sulla sua vita quotidiana, discutendo di film che vanno dal kolossal del 1914 Cabiria fino a Il giardino dei Finzi-Contini del 1970. Scorsese esprime il suo disperato amore ed il suo enorme ed inappagabile debito verso questo cinema, il nostro cinema.

Italoamericano

L’adorazione che il maestro ha verso il nostro paese, va oltre il cinema, va oltre la vita. E speriamo, si sia spinto anche oltre la morte e che, magari, abbia raggiunto i suoi genitori. Non lo si esplicita, non se ne parla, ma il cinema serve a questo: a comunicare senza dover usare le parole, a dire cose che altrimenti non si potrebbe emotivamente, a recuperare in ritardo. Un omaggio alle persone amate e che lo hanno amato.

Questo lavoro immenso anticipa il suo prossimo progetto. Come al solito, il futuro sta nel passato. La fine è scritta nel principio. Ed andare indietro non significa necessariamente farlo davvero, ma guardare per poi spingersi in avanti, sempre di più. Scorsese va a Roma per il suo prossimo lavoro, gira a Cinecittà con un budget ben superiore ai 100 milioni di dollari. Gangs of New York vede la luce. Il maestro sta per entrare nel nuovo millennio.

Show CommentsClose Comments

1 Comments

Comments are closed.