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Letizia Battaglia

Il mio nome è Battaglia, la fotografia di Letizia Battaglia tra arte e denuncia

Presentato in anteprima ad ottobre 2022 al Cinema Massimo di TorinoIl mio nome è Battaglia di Cécilie Allegra è un documentario che esplora la straordinaria vita di Letizia Battaglia, fotografa palermitana scomparsa nel 2022. 

Il documentario, disponibile sulla piattaforma RaiPlay, ripercorre le vicende legate alla sua carriera e il suo ruolo come testimone e cronista delle tragedie legate ai delitti di mafia, utilizzando il linguaggio della fotografia come strumento di denuncia e resistenza.

A raccontare la sua storia ci sono varie figure che sono state centrali nella vita di Letizia, in primis i suoi nipoti Matteo e Marta Sollima, che con la loro testimonianza offrono uno sguardo personale e affettuoso sulla figura di una donna che ha segnato profondamente la storia della fotografia e del giornalismo italiano.

Il mio nome è Battaglia, la celebrazione della sua vita e del suo lavoro

Letizia Battaglia nasce a Palermo nel 1935, una città che ha sempre avuto un ruolo centrale nella sua vita e nelle sue opere.

Sin da giovane, la sua esistenza è stata segnata da eventi drammatici: a dieci anni un uomo, l’orco come lo chiama lei stessa, le si presenterà davanti completamente nudo, segnandola profondamente, come raccontato in una sua celebre foto La bambina e il buio.

A soli 16 anni, Letizia si sposa, come gesto di ribellione per sfuggire al controllo paterno, ma capirà che il matrimonio non è altro che un’altra gabbia per lei e per il suo spirito libero. A 37 anni lascerà il marito, grazie anche all’aiuto della sua amica Marilù, la quale le regalerà la sua prima macchina fotografica.

Così, nel 1970 si trasferisce a Milano, dove entra nel mondo del fotogiornalismo e documenta le rivolte studentesche. La sua fotografia si distingue sin da subito per la sua intensità e la sua immediatezza.

Tornerà nella sua Palermo dopo quattro anni dove comincerà a catturare con il suo obiettivo la sofferenza e la povertà degli emarginati della città, soprattutto quella dei bambini, soggetti a lei molto cari.

Il mio nome è Battaglia

Il mio nome è Battaglia, la mafia e la verità fotografica

Nel capoluogo siciliano, Letizia assume il ruolo di direttrice del dipartimento fotografico del giornale L’ora e inizia a dedicarsi al racconto gli omicidi di mafia.

Le sue foto crude e realistiche,  immortalano i corpi dei condannati dalla mafia, diventano un simbolo di denuncia pubblica contro la violenza e la corruzione che dilagavano in Sicilia.

Le immagini di Battaglia, pur mostrando il lato più sanguinoso della mafia, sono anche il grido di denuncia che ha contribuito a far luce su una delle pagine più oscure della storia italiana.

Il suo impegno va ben oltre la semplice documentazione: Letizia utilizza il mezzo fotografico per promuovere la lotta alla mafia, portando alla luce non solo gli omicidi, ma anche gli arresti dei mafiosi e le udienze in tribunale.

La sua capacità di aggredire il soggetto, le consente di entrare nelle scene del crimine con lucidità, trasformando il pubblico in osservatore privilegiato della scena.

Sarà lo stesso Boris Giuliano, capo della Squadra mobile di Palermo, a darle il permesso di entrare sulle scene del crimine, armata della sua macchina fotografica. Il legame tra i due era molto profondo, tanto che Letizia, quando Giuliano verrà ucciso dalla mafia, si rifiuterà di fotografare il suo corpo, per non soddisfare gli occhi dei mafiosi.

La sua determinazione non è stata priva di rischi. Battaglia riceverà numerose lettere anonime minatorie, che la intimeranno di lasciare la sua amata Palermo. Lei non si arrenderà e anzi, sotto consiglio dello stesso Giovanni Falcone, lei e il suo team di fotografi proseguiranno il loro lavoro, continuando a scattare foto e improvvisando mostre nelle piazze di Palermo e Corleone. 

Il mio nome è Battaglia di Allegra, celebra in modo veritiero la figura di Letizia Battaglia, omaggiando la donna, mostrandola passeggiare tra le strade della sua amata città, sempre con la sigaretta in una mano e la macchina fotografica nell’altra.

Il documentario mette  in luce non solo la sua carriera di fotografa, ma anche la sua capacità di lottare contro le ingiustizie sociali.