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Le interviste: Alessandro Redaelli, regista di Funeralopolis
Per la serie Le interviste di Almanacco Cinema, abbiamo avuto l’occasione di parlare con Alessandro Redaelli, regista di documentari e content creator.
Alessandro Redaelli, mentre cercava di diplomarsi in montaggio e successivamente di conseguire una laurea in nuovi media – entrambi risultati ottenuti – già dal 2009 ha iniziato il suo percorso nel mondo dei media audiovisivi, girando diversi cortometraggi come Exception, Tortoise e Pray for Diamonds, curandone anche soggetto, sceneggiatura e fotografia, oltre che al montaggio stesso.
Dopo esperienze anche in opere collaborative, come quelle di Domiziano Cristopharo, Redaelli ha iniziato a girare videoclip musicali, entrando in contatto con molti artisti. Proprio questo lo ha portato a dirigere il suo primo documentario Funeralopolis – A Suburban Portrait, presentato come tesi di laurea per la scuola di cinema, seguito poi da altri due: Game of the Year e Positivə – 40 anni di HIV in Italia, entrambi disponibili su Prime Video.

Almanacco Cinema presenta: l’intervista al regista Alessandro Redaelli
*A.R. = Alessandro Redaelli*
Com’è nata la tua passione per il cinema e come sei diventato un regista indipendente?
A.R.: “Fin da bambino ho sognato di fare cinema e stare nel mondo del cinema, poi crescendo uno capisce cosa significa fare cinema e quali sono i precisi ruoli per arrivare a fare un film, che siano degli operatori come i macchinisti o i tecnici come montatori e direttori della fotografia. Ho iniziato con qualche corto solista senza budget di cui ho curato quasi tutto (produzione, regia, montaggio, scrittura, fotografia) e poi, dopo aver studiato montaggio, ho iniziato a collaborare con altri artisti come Domiziano Cristopharo, del quale ho amato i primi lavori ma con cui ho dovuto poi interrompere la collaborazione perchè, facendo film horror di serie b, in Italia, ho compreso anche l’insostenibilità economica e l’assenza di soldi del cinema indipendente italiano.”
A proposito di Cristopharo, dai primi lavori si nota un grande attaccamento per l’horror e, soprattutto, per autori influenti come H.P. Lovecraft ed Edgar Allan Poe.
A.R.: “Assolutamente sì. Sono sempre stato attratto dalle stranezze, dal weird, dai cosiddetti freak cinematografici, che sono uno specchio della realtà. A 18 anni ho visto un film di Domiziano, House of Flesh Mannequins, il suo primo, e ne sono rimasto particolarmente incantato, perchè in Italia non ci sono tanti film di genere come quelli che realizza lui. Anche perchè, sono tutti film a zero budget, praticamente, e solo negli ultimi anni lui è riuscito ad ottenere soldi da case di produzioni e distribuzioni, tanto da permettergli di uscire nel mercato home video italiano ed in sala, anche negli Stati Uniti.”
Dai primi corti, sei poi passato a girare videoclip musicali. Come mai?
A.R.: “Onestamente, questo passaggio è avvenuto sia perchè mi è sempre interessato farlo, ma anche per fare lavori che potessero effettivamente retribuirmi. Poi, c’è un processo di realizzazione nei videoclip, come anche nelle pubblicità, che è nettamente più veloce e snello rispetto ai film. Ti permette di pensare a una cosa che puoi realizzare anche il giorno stesso, permettendomi anche di trascurare il mio interesse o piacere verso l’artista per cui sto girando il videoclip. Un regista, secondo me, deve essere prima di tutto versatile e poter fare ciò che vuole, ma è un concetto ancora molto lontano nella stagnante industria italiana. Infatti, dopo Funeralopolis, l’unica cosa che mi chiedevano di fare erano esclusivamente documentari.”
Con Funeralopolis hai esordito al cinema con un lungometraggio. Com’è stato e come si scrive la sceneggiatura di un documentario così?
A.R.: “La nascita del progetto è stata come la sua scrittura e tutto è stato dettato da una traccia di imprevidibilità, anche per via dell’imposizione voyeuristica del progetto. Ci si da una struttura iniziale ma poi qualsiasi idea, qualsiasi passaggio si decide in post-produzione, nella sala di montaggio. E fare questo lavoro, però, significa anche chiudersi in quel posto per tanto tempo, a maggior ragione nel caso di un documentario d’osservazione com’è stato Funeralopolis, tant’è che siamo stati al montaggio circa un anno e mezzo, lottando per non tagliare troppo il film, che molti suggerivano di comprimere in 50 minuti totali.”
Hai avuto la stessa esperienza per Game of the Year?
A.R.: “Per Game of the Year siamo stati in sala di montaggio anche di più, quasi due anni, dettato sia da un lungo processo di fine tuning, sia dal combattere per una visione completa del film: il cut iniziale era di tre ore e mezza, poi è passato a due ore e dieci e nuovamente sono dovuto scendere all’attuale durata di un’ora e quaranta circa, che mi ha costretto anche a tagliare due personaggi dal film. Tutto questo perchè io credo molto nei test screening, che è una pratica che in Italia non succede quasi mai, che invece, personalmente, mi consente di comprimere la mia visione personale del film con quella del resto delle persone che ci hanno lavorato come anche quella di un pubblico random.”
Lo stesso vale per Positivə?
A.R.: “Positivə è stato diverso già alla base, essendo un film su commissione. Questo mi ha portato a dover usare un linguaggio diverso rispetto ai miei lavori precedenti, un linguaggio molto standard per documentari, che io ho sempre evitato perchè lo trovo molto televisivo e distante dal tipo di lavoro che ho fatto e dal target di pubblico che ho cercato. Ma fare il regista significa questo, mediare e trovare solunzioni esatte, compromessi.”
Come mai hai scelto di fare documentari e di non raccontare queste storie attraverso un film di narrativa?
A.R.: “In realtà, io ho sempre voluto fare, come nel caso dei miei corti, film di finzione. Il formato del documentario è arrivato sia per mancanza di alternative ma anche perchè o per un’occasione – Funeralopolis – o mi è stato chiesto – Positivə. Sono dieci anni che io e Ruggero Melis – co-sceneggiatore dei tre film di Redaelli – giriamo con una sceneggiatura per un film di finzione, che ci fu anche opzionato ma i cui diritti poi ci sono tornati indietro. Poi, oltre a vivere a Milano in cui la produzione cinematografica non è molto attiva, come ho detto prima, in Italia, se sei conosciuto per una cosa, ti chiederanno sempre e solo quella cosa.”
Infine, ci puoi dire qualcosa sui tuoi progetti futuri?
A.R.: “Il mio prossimo progetto si chiamerà Altrove e sarà un mix tra documentario, fiction ed anche, possiamo dire, uno stile d’animazione, in cui comparirò effettivamente anche io. Non posso dire molto altro, anche perchè riniziamo a girare il prossimo ottobre dopo qualche anno di stop, con l’obiettivo di avere il film pronto per gennaio/febbraio del prossimo anno.”
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