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Giovanni Basso

Le interviste: Giovanni Basso, regista di Mindemic

Per la serie Le interviste di Almanacco Cinema, abbiamo chiacchierato con Giovanni Basso, regista di svariati cortometraggi e del film Mindemic.

Giovanni Basso nasce a Ferrara il 27 febbraio 1984. Dopo aver studiato tra cinema e teatro, in Italia e negli States, va a vivere in Australia, luogo dal quale rimane affascinato e che considera una seconda casa. Già dal 2007 dirige L’odore della notte, suo primo cortometraggio, seguito da altri tre corti di cui è anche sceneggiatore e produttore: The Swimmer, Terra Continens – entrambi girati in Australia – e Il grande presidente del 2018.

Nel 2022 decide di passare dai corti ai lungometraggi, ideando così il bellissimo Mindemic (Opera zero), sforzo d’esordio cinematografico del regista – e per ora unico – con protagonista assoluto Giorgio Colangeli – già presente nel precedente corto – e girato attraverso l’uso dello smartphone, primo caso per un film narrativo uscito in sala in Italia.

Almanacco Cinema presenta: l’intervista al regista Giovanni Basso

*G.B. = Giovanni Basso*

Com’è vivere in Australia rispetto a vivere in Italia? E, soprattutto, com’è fare cinema in Australia rispetto a qui?

G.B.: “Io vivo tra Italia ed Australia, dal 2012 ad oggi. Proprio la scorsa estate abbiamo presentato il film (Mindemic) in diverse sale in Australia, inclusa Perth, la città in cui vivo. La differenza sostanziale sta nel modo di vivere dettato dall’ambiente che ti circonda, quindi in primis il rapporto con la natura e la convivenza con il mondo naturale, l’imparare ad accoglierlo e coesistere. Culturalmente sono due mondi completamente diversi, soprattutto perché l’Australia è uno Stato più giovane. In Italia si sente il peso del passato, e quello rimane dentro per sempre. Poi, la società è più snella, e la tipica lentezza e pesantezza del nostro paese non sarebbero concepiti. Però, allo stesso modo, questi vincoli rendono ancora più creativi e stimolano l’arte, a volte basta solo guardare con distacco un qualcosa considerato ordinario.

Questa esperienza ti ha portato a girare The Swimmer, ma come hai applicato la tua vita personale al film?

G.B.: “Appunto, il rapporto che si vive tra la società umana e la natura, compreso il mondo animale. Il cinema australiano è da sempre vicino a questo tipo di idea. Per citarne giusto uno, basterebbe pensare al film del 2010 Animal Kingdom, di David Michôd, nonostante sia estremamente diverso dal mio film. Ma comunque, ho cercato di raccontare una storia ordinaria come quella di un bambino perseguitato da problemi di bullismo, ma reimmaginarlo in quel contesto, in quelle terre. Il cinema serve proprio a questo, cioè, riesce a sbrigare faccende che la vita altrimenti impiegherebbe anni solo a spiegarle.”

Come citato da te, in The Swimmer si vede una forte influenza di un tipo di cinema australiano come quello di Animal Kingdom. Quali sono state le influenze per il lavoro nei corti e per il film?

G.B.: “In generale tutta l’arte mi affascina, non solamente il cinema, ed ancora di più quelle opere che ti folgorano alla prima visione, come un fulmine a ciel sereno. Questo mi è capitato quando ero a Madrid e vidi per la prima volta Guernica di Pablo Picasso. Rimasi senza parole ad ammirarlo per almeno venti minuti. La stessa cosa mi successe quando finii di vedere La notte, tanto che penso di averlo rivisto almeno tre volte in due giorni, infatti parliamo di Michelangelo Antonioni e questo potrei dirlo di moltissimi altri suoi lavori. In particolare per il film (Mindemic), le influenze sono arrivate da qualsiasi cinema io abbia visto, da 8½ di Federico Fellini a Dillinger è morto di Marco Ferreri, passando per Roberto Rossellini, Stanley Kubrick e Paul Thomas Anderson.”

 

Parliamo nello specifico di Mindemic, partendo dal fatto che il film è stato girato con uno smartphone. Come mai questa scelta?

G.B.: “Ho scelto di girare il film con uno smartphone, anzi più precisamente con due iPhone, perché avevo sviluppato io personalmente un interesse verso questo mezzo, nella sua estensione a strumento per fare cinema. Poi, parte della scelta è stata visivamente stilistica, poiché volevo riprodurre un effetto in stile CinemaScope, che era un tipo di ripresa in 2.35:1, basato sull’uso di lenti anamorfiche, che sono proprie quelle usate per il film. Infine, con l’idea già dalla visione di Tangerine di Sean Baker, e più in generale provando a usare il cellulare per girare, puntavo a dare un senso di familiarità e semplicità alla storia, e di affinità verso Nino (il protagonista), affinchè egli fosse perennemente rinchiuso e limitato nello spazio visivo del telefono.”

In questo, mi sembra anche che la scenografia e gli oggetti di scena siano stati fondamentali, giusto?

G.B.: “Assolutamente, era proprio quello l’intento. Dare risalto a Nino ed allo stesso tempo nascondere in bella vista tutto ciò che gli sta attorno, infatti lo spazio vuoto che lo circonda è sempre abbondante, e questo mi è servito molto, concettualmente, per lasciare che lo spettatore stesso potesse riempire quegli spazi vuoti, a seconda della propria percezione e della propria interpretazione del film. Anche il fatto che l’appartamento risulti asettico, in contrasto a quello che uno possa pensare, mette lo spettatore in una condizione di mistero, nella quale si può attribuire qualsiasi idea propria all’appartamento.”

Proprio su quest’ultimo punto, senza fare spoiler per chi non ha ancora visto il film, qual’è la vera risposta a cosa il film rappresenta?

G.B. “Non c’è. Anzi, ti dirò, più sale ho girato e più persone si sono espresse riguardo al significato del film e del finale, proponendomi cose alle quali non avevo neanche minimamente pensato, ma che poi, ragionandoci su, ho trovato molto logiche e molto appropriate con il film. Ma l’intento stesso del film era proprio questo, cioè di stimolare la soggettività, anche perché ognuno interpreta e vive l’arte nel proprio modo, e la mente di chiunque può crearsi un film tutto suo, soltanto partendo da ciò che ha visto nel mio. Anche per come è stata concepita la fotografia del film, di pari passi con la costruzione strutturale dell’opera, può permettere un’apertura intellettuale – spero – ed una emotiva coincidenti.”

Invece com’è stato relazionarsi ed avere sul set un grande del cinema e del teatro italiano come Giorgio Colangeli?

G.B.: “Io e Giorgio (Colangeli) ci siamo conosciuti sul set de Il grande presidente, nel 2018, e per me fu un’esperienza incredibile, tanto che, quando iniziai a scrivere il film ed a pensare a Nino, ho immediatamente esclamato il nome di Giorgio. E se lui non avesse accettato di fare il film, probabilmente non lo avrei mai fatto. Invece, sorprendentemente, ha accettato e si è immerso completamente nel film, rimanendo isolato da qualsiasi altro attore per immedesimarsi ancora di più nella condizione archetipica di uomo solo. Poi, il fatto che lui sia anche un grandissimo attore teatrale, con una carriera di oltre 50 anni, lo rende meraviglioso nel lavoro nel mondo del micro: le espressioni, i sospiri, il sudore, tutto affinchè Nino fosse il più possibile spontaneo, leggero ed essenziale, anche nel rapporto con il suo corpo.”

Infine, quali sono i tuoi progetti futuri?

G.B.: “Sto lavorando a qualcosa di nuovo, e ci sto lavorando qui, in Italia. Come ho detto prima, vedere le cose con distacco, da un altro punto di vista, ti aiuta a capire meglio il tutto. Insomma, l’Italia è un grande paese fatto di grandi storie del passato e di grandi storie del presente che aspettano solo di essere raccontate.”

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