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addio al linguaggio

Addio al linguaggio, testamento artistico

Nel 2014, Jean-Luc Godard fa uscire nelle sale il suo film piu’ complesso e controverso, il suo testamento cinematografico.

Jean-Luc Godard è stato uno dei registi più importanti ed influenti della storia della settima arte, ancora oggi celebrato e ricordato, divenuto vero e proprio culto e leggenda del cinema. Il maestro debuttò nel 1960 con Fino all’ultimo respiro ed ha continuato a vivere artisticamente fino al suo ultimo respiro. Addio al linguaggio ne è la prova e seppur abbia continuato a girare film e corti anche dopo, questo è da considerare il suo vero e proprio testamento cinematografico, una perla assoluta che rappresenta la celebrazione della fine di tutto, la fine del mondo, del socialismo, dell’arte e del linguaggio. Un film che fa da conclusione per tutta l’opera di Godard.

La trama, o quasi

Il film si apre sulle note di Caccia alle streghe del nostro Alfredo Bandelli, canzone rivoluzionaria ed è proprio così che il regista apre il film, inneggiando alla rivoluzione. Rivoluzione che però, ad oggi sembra rassegnarsi e non trovare più ramificazione possibile. Parlare della trama di Adieu au langage è tanto difficile quanto analizzare gli innumerevoli spunti filosofici, politici, sociologici ed antropologi che il regista regala con l’opera che più di tutte sembra proprio la conclusione della sua vita artistica. Una celebrazione della fine e dell’inizio di un nuovo mondo, dove la rivoluzione non trova spazio. Un processo che già da tempo veniva pronostico dallo stesso Godard ed altri colleghi come Pier Paolo Pasolini che hanno dedicato tutte le loro fatiche per combattere l’avvento del nuovo potere dei consumi e la mercificazione della vita stessa.

Non è facile parlare della trama di questo film poiché non ne ha una. La composizione narrativa è frammentazione pura, immagini e parole che si susseguono in flusso che trova armonia anche grazie all’interpretazione dello spettatore. In ogni caso, la camera segue una coppia in crisi, un rapporto tra un uomo libero ed una donna sposata, alternato alle immagini di un cane solitario che vaga per le nature sconfinate.

 

addio al linguaggio 2

Adieu au langage

Godard prende il concetto di plotlessness, ovvero privo di trama e lo porta alla sua quinta essenza. Un modo totalmente nuovo e sperimentale di fare cinema, superando le barriere di immagini e suoni e riportando al centro dell’opera il linguaggio, paradossalmente celebrandone la sua fine. La morte del linguaggio e dello scopo, un nuovo mondo che affiancandosi alla forma priva di trama ne sottolinea anche l’assenza di direzione. Un mondo senza più uno scopo, dove la gente agisce per conformazione in maniera, appunto, pointless, senza meta.

Godard riesce a montare una realtà parallela, frammentata. L’addio al linguaggio che lascia spazioe ad un altra forma di comunicazione, attraverso la quale celebra il funerale del linguaggio tradizionale. A 83 anni, Jean-Luc Godard riesce ancora ad avere la forza di sperimentare e reinventarsi totalmente. Un racconto tradizionale che apparentemente non sembra avere il minimo senso ma tutto risale perfettamente in un film che pare più una metafora continua di un ora e un quarto. Per questo motivo, addio al linguaggio è uno dei film più autentici e puri mai fatti, una visione completamente incontaminata che quasi non sembra provenire da questo pianeta, pieno di dissonanze e distorsione come l’uso su pellicola dei colori primari, gli schermi neri durante le battute dei personaggi e gli stacchi che si alternano a filmati veri di guerra.

Una completa deviazione del percorso cinematografico in un opera espressionista che gioca con la nostra mente e che sfocia nella totale perdita di fiducia nel mondo e nella storia e tutto ciò che ne consegue, in primo piano nella politica. Un interpretazione del tutto inedita di un mezzo che sta lentemente venendo superato dallo scrolling verticale e dall’anti-intellettualismo. L’ennesima dimostrazione d’avanguardia di uno spirito che non ha più niente a che fare nella contemporaneità e che non può far altro che dirigere il proprio canto funebre.

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