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Dieci minuti, la recensione del film di Maria Sole Tognazzi
Dieci minuti, la recensione di un ritratto femminile dai molteplici nuclei tematici. Una storia di dolore, solitudine e resilienza.
Dieci minuti, la trama e i personaggi
Bianca, interpretata con grande sensibilità da Barbara Ronchi, si sottopone a una serie di esperienze brevi ma intense, che la costringono ad uscire dalla sua comfort zone. Ogni giorno, per dieci minuti, la protagonista deve fare qualcosa di nuovo, qualcosa che non ha mai fatto prima, affrontando così le paure e i blocchi emotivi che la paralizzano. Questi momenti diventano un percorso per aiutarla a confrontarsi con i fantasmi del suo passato e a riprendere il controllo sulla propria vita.
Il film si sviluppa in un alternarsi di toni, oscillando tra la drammaticità e una dimensione più leggera e a tratti ironica. Nei momenti più intensi, emerge l’afflizione profonda che affligge Bianca, una donna alle prese con una crisi personale che sembra sopraffarla. Ma la terapia proposta dalla sua psicoterapeuta, interpretata magistralmente da Margherita Buy, introduce una serie di situazioni improbabili e divertenti che smorzano il peso del dramma, offrendo spazi di leggerezza e speranza.
Il rapporto tra Ronchi e Buy è centrale nell’economia del film, con quest’ultima che si cala in un ruolo inedito, lontano da quello che l’ha resa celebre. Buy interpreta una psicoterapeuta dai modi pragmatici e non convenzionali, il cui metodo di cura, basato su piccoli passi quotidiani, si rivela fondamentale per la guarigione di Bianca.
Il duo femminile si arricchisce della presenza di Fotinì Peluso, nel ruolo della sorella di Bianca, un personaggio che porta ulteriore profondità alla dinamica familiare e che dimostra come Peluso sia ormai pronta per ruoli da protagonista.
Uno degli aspetti più riusciti del film è proprio la capacità di rendere palpabile il senso di precarietà che pervade i rapporti umani. Ogni dialogo, ogni sguardo non detto, è carico di tensione e significato, suggerendo che sotto la superficie apparentemente ordinata delle vite borghesi si nasconde un mondo di insicurezze, desideri repressi e paure.
L’adattamento cinematografico e il cast
Il nuovo adattamento cinematografico del romanzo di Chiara Gamberale si presenta come un dramma borghese intenso, che esplora con sensibilità le tensioni emotive e psicologiche all’interno delle dinamiche familiari. Il film funziona particolarmente bene grazie alla capacità di mettere in scena i contrasti e le divergenze tra i suoi personaggi.
Al centro della narrazione vi sono i sottili scricchiolii che minano i rapporti familiari, rivelando le fragilità e le insicurezze che, spesso nascoste sotto la superficie, emergono in momenti di crisi.
Il cast stellare, composto da interpreti di grande spessore, è uno degli elementi chiave che conferiscono al film la sua forza. Barbara Ronchi, con la sua interpretazione delicata e incisiva, riesce a trasmettere la complessità interiore del suo personaggio, bilanciando momenti di vulnerabilità con una risolutezza nascosta.
Al suo fianco, Margherita Buy si conferma come una delle attrici più apprezzate del cinema italiano, capace di dare vita a figure femminili che, pur attraversando momenti di frattura emotiva, mantengono una profonda umanità e verità. Buy è impeccabile nel tratteggiare un personaggio che si dibatte tra il desiderio di tenere insieme la famiglia e il confronto con le proprie insicurezze.
A completare il trio di protagoniste, Fotinì Peluso, giovane attrice emergente, porta sullo schermo un’energia fresca, che ben si contrappone alle dinamiche più mature delle sue colleghe. Il suo personaggio, forse il più fragile e insicuro del gruppo, rappresenta il punto di vista di una generazione in lotta con le aspettative e i ruoli imposti dalla società e dalla famiglia.
Il film, pur ancorato nel dramma borghese, non si limita a rappresentare le tensioni tipiche di un certo ambiente sociale, ma si spinge oltre, esplorando temi universali come la ricerca di sé, il desiderio di affermazione personale e il peso delle aspettative familiari.
In definitiva, l’adattamento del romanzo di Chiara Gamberale riesce a tradurre su schermo il dramma emotivo che caratterizza il libro, grazie a una regia attenta e a interpretazioni di alto livello.
Le divergenze e gli scricchiolii che attraversano la narrazione sono il cuore pulsante del film, rendendolo un’opera capace di far riflettere e coinvolgere lo spettatore a livello profondo.
Sceneggiatura e regia
Nella sceneggiatura di Dieci minuti, scritta da Maria Sole Tognazzi insieme a Francesca Archibugi e ispirata al romanzo autobiografico Per dieci minuti di Chiara Gamberale, la terapia della protagonista assume la forma simbolica dei dieci minuti che danno il titolo all’opera.
La regia di Tognazzi, pur essendo discreta e invisibile, riesce a costruire significati attraverso una cura attenta per i dettagli visivi. Il colore e la fotografia giocano un ruolo fondamentale nella narrazione.
Il rosa della casa di Bianca, ad esempio, diventa il simbolo del suo mondo protetto e idealizzato, in cui si è volontariamente reclusa, mentre il blu freddo degli interni ospedalieri riflette la sua massima disperazione, trasformando la casa in una sorta di obitorio emozionale.
Tuttavia, nonostante l’attenzione visiva, la regia sembra accontentarsi di portare a termine la storia senza osare troppo.
Il film si inserisce perfettamente nella poetica di Maria Sole Tognazzi, che ancora una volta sceglie di esplorare il tema della metamorfosi femminile. Dieci minuti racconta una trasformazione tormentata, in cui la protagonista deve abbandonare le sue certezze per abbracciare la libertà di una nuova vita.
Il processo di rinascita non è mai facile, ma Tognazzi sceglie di chiudere il film con una sequenza altamente simbolica: la panoramica conclusiva, che mostra Bianca tuffarsi nel mare e prendere il largo, diventa la metafora visiva della sua liberazione interiore. Questo momento di apertura, in contrasto con i campi limitati che dominano il film (a rappresentare le chiusure psicologiche della protagonista), segna un punto di svolta emotivo e visivo.
Dieci minuti, le tematiche
L’affermazione che la solitudine non sia un’esperienza esclusivamente della protagonista, ma qualcosa che accomuna l’intero genere umano, non rappresenta solo una svolta nel suo cammino di consapevolezza e crescita personale, ma si configura anche come uno dei temi centrali del film. Questo concetto di solitudine condivisa diventa una riflessione universale sulla condizione umana, qualcosa che ogni spettatore può sentire proprio, indipendentemente dalle specifiche vicende personali.
Il film esplora questa tematica con delicatezza e profondità, evitando i facili sentimentalismi e puntando su un approccio autentico e realistico. La solitudine, qui, non è solo una condizione esistenziale, ma diventa anche il punto di partenza per un’esplorazione più ampia dei rapporti umani e della vulnerabilità che essi portano con sé.
Bianca, nel suo percorso, impara a confrontarsi non solo con il dolore dell’abbandono, ma anche con le paure che ha accumulato nel tempo, soprattutto quella di vivere pienamente.
Un aspetto interessante di Dieci minuti è che, pur concentrandosi principalmente su personaggi femminili, non assume una prospettiva di genere che condanni la controparte maschile. Anche se la crisi di Bianca è innescata dall’abbandono del suo partner, la narrazione si discosta dai soliti cliché, evitando una lettura unidimensionale e accusatoria delle dinamiche di coppia.
Invece di proporre uno schema di colpevolezza rigidamente diviso tra uomini e donne, il film offre un quadro più sfumato e realistico, dove torti e ragioni sono distribuiti in modo equo tra i personaggi. Questo approccio rende la pellicola fresca e lontana dalle semplificazioni a cui il cinema contemporaneo spesso ricorre quando affronta questi temi.
C’è un altro elemento che distingue Dieci minuti: l’azione concreta come antidoto alla commiserazione. Prendendo spunto dal metodo terapeutico della dottoressa Brabanti, la psicoterapeuta che segue Bianca, il film evita di indulgere nel dolore passivo, preferendo un approccio proattivo alla guarigione.
La dottoressa Brabanti incarna un atteggiamento pragmatico e costruttivo, spingendo la sua paziente a non crogiolarsi nella sofferenza, ma a compiere passi piccoli e costanti verso il recupero del controllo sulla propria vita.
È questo il cuore pulsante del film: l’idea che la guarigione e la rinascita non siano un processo magico o istantaneo, ma il risultato di una serie di scelte e azioni quotidiane, per quanto minime possano sembrare.
Il film, dunque, non è solo una riflessione sulla solitudine e la paura di vivere, ma un invito a prendere in mano la propria vita e a non lasciarsi sopraffare dalle avversità.
È una storia di resilienza, di piccoli passi che conducono verso una nuova consapevolezza, e di una donna che, pur ferita, trova la forza di risollevarsi.
Un ritratto femminile
Se da un lato Dieci minuti offre un ritratto delicato e realistico della crisi personale di una donna, dall’altro la mancanza di sorprese e di momenti veramente sconvolgenti impedisce al film di diventare un’esperienza particolarmente terapeutica per chi guarda.
Mentre Bianca riesce a liberarsi dalle sue catene emotive, il film stesso rimane intrappolato in una certa convenzionalità narrativa che non gli consente di spiccare davvero il volo. Tuttavia, rimane un’opera interessante, con un potenziale significativo, che riflette la capacità di Tognazzi di raccontare storie intime e femminili, anche se con margini di miglioramento che potrebbero rendere le sue future opere ancora più incisive.
Dieci minuti, pur non nascondendo la dose di dolore, apatia e smarrimento che caratterizza le giornate di Bianca, non si limita a mostrarci il suo calvario emotivo.
Attraverso una serie di flashback ben orchestrati, veniamo a conoscenza delle fasi più critiche della sua crisi, ma ciò che spinge avanti la trama è la pars construens, quella parte del percorso che vede Bianca assumersi la responsabilità del proprio benessere.
Non ci sono facili vie di fuga o scuse: la protagonista si rimbocca le maniche e, sotto la guida della sua terapeuta, intraprende un cammino di guarigione che, sebbene faticoso, è profondamente liberatorio.
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