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Fuori

Fuori: Mario Martone racconta Goliarda Sapienza

Fuori di Mario Martone, unico film italiano in concorso al Festival di Cannes, racconta la figura di Goliarda Sapienza attraverso una storia di sorellanza.

Il nuovo film di Martone si regge soprattutto sulla straordinaria generosità interpretativa delle sue attrici, Valeria Golino (Goliarda Sapienza), Matilda De Angelis (Roberta) ed Elodie (Barbara), autentico motore emotivo e narrativo dell’opera.

Fuori racconta una vicenda intensa di sorellanza e attrazione reciproca, intrecciando rapporti complessi e carichi di tensione emotiva. Tuttavia, questa scelta narrativa finisce per sacrificare, almeno in parte, la profondità della figura di Goliarda Sapienza: scrittrice, intellettuale anticonformista e fervente antifascista, il cui pensiero radicale e percorso umano meritavano forse uno spazio maggiore all’interno del racconto.

Così, l’identità storica e intellettuale della scrittrice resta un po’ ai margini, lasciando il pubblico con l’impressione di un ritratto solo parziale di una donna straordinaria e controcorrente.

Un ritratto parziale

Fuori non è un biopic tradizionale, e nemmeno un ritratto lineare della vita di Goliarda Sapienza. Piuttosto, il film tenta di cogliere le sfumature complesse e cangianti della sua essenza, o meglio, di una delle molteplici identità che l’hanno definita nel tempo.

Mario Martone sceglie di concentrarsi su un episodio specifico e particolarmente controverso della vita di Goliarda Sapienza: nel 1980 la scrittrice viene arrestata e incarcerata con l’accusa di aver venduto alcuni gioielli rubati, provenienti dall’appartamento di un’amica.

Questo breve ma cruciale soggiorno nel carcere romano di Rebibbia diventa, sorprendentemente, una tappa fondamentale nel suo percorso umano e creativo. Lontano dall’essere un semplice interludio traumatico, il carcere si trasforma per lei in un luogo di scoperta e rigenerazione interiore.

È proprio dietro le sbarre che la scrittrice trova un’inaspettata sorellanza e un senso di appartenenza con alcune detenute, Roberta e Barbara, donne ai margini ma portatrici di una forza e autenticità che Sapienza riconosce e abbraccia. L’esperienza del carcere segnerà profondamente la sua scrittura e alimenterà una visione del mondo ancora più lucida, critica e profondamente umana.

Sregolatezza in una Roma assolata

Fuori nasce da un soggetto di Ippolita di Majo, collaboratrice abituale e compagna del regista, che firma anche la sceneggiatura, e si ispira liberamente a due testi autobiografici di Goliarda Sapienza: L’università di Rebibbia e Le certezze del dubbio. Due opere intense, che riflettono le contraddizioni e le fratture dell’autrice, mai riconosciuta pienamente in vita, e solo riscoperta postuma grazie alla pubblicazione all’estero, prima in Germania, poi in Francia, del suo capolavoro, L’arte della gioia. A quest’ultimo romanzo Sapienza dedicò oltre dieci anni e di recente è stato adattato per la televisione in una serie diretta da Valeria Golino.

Proprio Valeria Golino, in un doppio ruolo di regista e attrice, da corpo e voce alla Goliarda di Fuori: una donna di 55 anni, appena uscita dal carcere, che si muove in una Roma estiva e assolata, cercando di sopravvivere all’indigenza materiale ma anche di riconnettersi con la propria interiorità creativa.

Fuori

In un contesto che la marginalizza, Goliarda segue un ritmo di vita sregolato, quasi anarchico, dove il confine tra lucidità e allucinazione sembra sfumare. Continua a frequentare Roberta, giovane detenuta conosciuta durante la reclusione: una criminale recidiva, ma anche un’attivista politica, figura carismatica e sfuggente. Il loro rapporto, profondo e fuori dagli schemi, è difficile da decifrare per chi osserva dall’esterno, ma rappresenta per Goliarda una fonte di vitalità, un’esperienza rigenerante che la spinge a scrivere di nuovo e a riappropriarsi, almeno in parte, della sua libertà interiore.

L’interpretazione di Matilda De Angelis

A imporsi con forza quasi selvaggia, travolgente e inafferrabile, è la prova magnetica di una straordinaria Matilda De Angelis. La sua Roberta, figura tormentata eppure intensamente viva, richiama alla mente certi personaggi pasoliniani: eroinomane disperata, marchiata da una marginalità che non chiede redenzione ma solo di essere vista, accolta e amata nella sua umanità. È un personaggio in bilico tra rabbia e tenerezza, che la De Angelis interpreta con una sensibilità fuori dal comune, evidenziandone la natura contraddittoria sporca di vita e carica di poesia.

Roberta è la compagna di sventura di Goliarda, l’unica forse in grado di parlarle davvero e di comprenderla. E sarà solo nell’ultima sequenza del film, ambientata su una banchina deserta della stazione Termini, che il destino di questa relazione si rivelerà nella sua interezza.

In quell’addio sospeso, dove lo scambio fisico di un abbraccio è già avvenuto poco prima, il peso simbolico continua a vibrare nell’aria, scorrono come visioni tutte le possibili traiettorie future, i non detti, le promesse spezzate e le corrispondenze perdute.

È un momento carico di ambiguità e risonanza emotiva, in cui ciò che appare dissolversi nel nulla, la figura di Roberta, l’eco della sua voce, in realtà si imprime nella memoria come un legame destinato a durare ben oltre il tempo del racconto. Per Goliarda, forse, è proprio da lì che rinasce la scrittura.

Recensione a tre stelle su Almanacco Cinema

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