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Io sono ancora qui, la recensione su Almanacco Cinema
Arriva finalmente in sala l’ultimo film del brasiliano Walter Salles Io sono ancora qui. Un’opera dolorosa e commovente sulla vera storia di Rubens Paiva.
È stata una delle sorprese di Venezia 2024, ed è uno dei protagonisti di questa stagione dei premi. Agli ultimi Golden Globe ha mancato il riconoscimento per il Miglior film internazionale (andato a Emilia Pérez) ma Fernanda Torres, straordinaria protagonista, ha vinto come Miglior Attrice. Agli Oscar è in lizza in tre categorie. Oltre a Miglior Attrice e Miglior Film Internazionale anche come Miglior Film.
Io sono ancora qui racconta il dramma dei desaparecidos nel Brasile degli anni ’70 attraverso la storia di Rubens Paiva. Ex deputato e ingegnere, Paiva fu arrestato a Rio de Janeiro nel 1971 e non fece mai ritorno a casa. Walter Salles indaga lo smarrimento di chi fu costretto a convivere con l’ignoto, e lo fa focalizzandosi su sua moglie, Eunice Facciolla.
Io sono ancora qui è un film storico che ribadisce la necessità di guardare al passato, ma è anche e soprattutto il ritratto di una donna granitica che ha saputo persino sorridere di fronte alla dittatura, ricostruendo da zero la propria vita con dignità e coraggio.
La trama di Io sono ancora qui
Rubens Paiva è un ingegnere, ex deputato del Partito Laburista brasiliano, che vive insieme a sua moglie Eunice e ai suoi cinque figli a Rio de Janeiro. Mentre la famiglia vive una quotidianità serena, fatta di musica, pranzi di famiglia, e di tanto affetto, in città gli scontri tra i militari e gli oppositori si fanno sempre più accesi.
Quando un giorno un gruppo armato entra in casa Paiva per prelevare Rubens, l’idillio familiare si spezza. Eunice entra in contatto con la violenza del regime, e con il dolore della perdita di un amore. Dovrà lottare per scoprire la verità, e riuscire a rimanere a galla per sé stessa e i suoi cinque figli.
Una dolorosa chiamata all’avventura
La sceneggiatura di Walter Salles, premiata a Venezia 2024, scandisce con precisione la parabola di Eunice. La prima parte del film è la presentazione di una famiglia. Non emerge in modo esplicito un protagonista, né c’è un punto di vista ben definito.
La macchina a mano e la fotografia calda, che esaltano la quotidianità, si alternano ai filmati in Super 8 girati dalla figlia maggiore Veronica. L’effetto del primo atto del film è di grande calore: gli anni ’70, i vinili, la spiaggia di Copacabana, il calcio, il beach volley e la musica brasiliana. Una coppia di genitori innamorata e romantica, e figli sereni che si godono un benessere economico ed emotivo. L’arresto di Rubens arriva, pertanto, come un fulmine a ciel sereno.
È a questo punto che Eunice si manifesta drammaturgicamente come protagonista del film. Fernanda Torres diventa il centro emotivo e narrativo di Io sono ancora qui quando Eunice è costretta ad assumere le redini della sua famiglia nel suo momento di maggiore fragilità. Dal punto di vista estetico a introdurre questa nuova fase della narrazione è una soggettiva. La donna viene interrogata, il volto le viene coperto con un cappuccio, e lo schermo si fa nero.
Quella a cui assistiamo è una classica chiamata all’avventura, dolorosa e obbligata da una circostanza terribile, ma che introduce Eunice a una nuova fase della sua vita.
Io sono ancora qui: un’eroina carica di dignità
La forza del personaggio di Eunice, e dell’interpretazione che ne dà Fernanda Torres, sta tutta nella dignità con cui la donna affronta il dolore incidibile che la colpisce. Eunice rimane salda, misurata, educata e mai cede a una disperazione che le permetterebbe almeno di sfogare la sua angoscia.
Ragiona, osserva, si mantiene lucida, e trattiene dentro di sé per il bene dei suoi figli. Questo autocontrollo, però, non si risolve in freddezza, anzi. Lo spettatore, di fronte a questa garbata sofferenza, è costretto a fare i conti con quello che Eunice non mostra, e con lo sguardo mai neutro di Fernanda Torres.
Sono i suoi occhi, infatti, a reggere e tradurre il tessuto emotivo dell’opera. Nella bellissima scena della gelateria a metà film, specchio rotto di quella precedente in cui Rubens le dichiara il suo amore, è senza parole che la vediamo per qualche secondo quasi sbriciolarsi sotto il nostro sguardo per poi tornare a dare forza ai suoi figli.
Il dramma dei desaparecidos
Io sono ancora qui riesce a raccontare attraverso la vicenda privata di Rubens ed Eunice il dramma sociale dei desaparecidos. Qualche anno fa ci aveva provato anche Pedro Almodóvar con il suo Madre paralelas (2021). Il film con Penélope Cruz aveva nella dimensione politica della sua sceneggiatura il suo punto di maggiore forza.
Walter Salles scende ancora più in profondità e attraverso la sua protagonista descrive in modo puntuale la dinamica emotiva di chi resta. La compostezza di Eunice, infatti, è anche la conseguenza di un atto violento che priva i familiari delle vittime di quel necessario pianto rituale di cui parlava l’antropologo Ernesto de Martino.
La crudeltà delle sparizioni sta soprattutto nel sottrarre a chi resta quel rito di passaggio, catartico e civile, che è il funerale. Le grandi narrazioni della nostra Storia hanno affrontato questo tema. Pensiamo a Priamo che entra nel campo nemico per pregare Achille di restituirgli il corpo di Ettore, o ad Antigone che sfida le leggi per seppellire suo fratello.
Salles inserisce a un certo punto un’altra sepoltura che unisce Eunice e i suoi figli. Le immagini, molto intense, da un lato incanalano un’emotività trattenuta tanto dai protagonisti quanto dagli spettatori, dall’altro ci ricordano la sacralità di quel momento anche in termini di condivisione del dolore. La sparizione di Rubens condanna Eunice e i cinque figli a vivere in tempi diversi la metabolizzazione della morte, a un lutto solitario che li deruba del conforto familiare.
Lo stile di Io sono ancora qui
Walter Salles si serve di tre materiali visivi differenti per il racconto estetico di Io sono ancora qui. Innanzitutto, trattandosi di un film storico utilizza una serie di immagini d’archivio relative a quegli anni, e a quegli eventi. Si tratta di una pratica di riutilizzo molto in voga nel cinema contemporaneo (solo negli ultimi mesi lo abbiamo visto in Berlinguer- La grande ambizione ma anche nell’ultima stagione de L’amica geniale).
Il racconto vero e proprio è portato avanti con uno stile classico, che tende a mutare tra la prima e la seconda parte del film. L’idillio familiare dell’inizio è reso con la macchina a mano e con toni di colore nella scenografia caldi e avvolgenti. La colonna sonora è molto presente, e l’atmosfera restituisce la poesia e il fascino di una città come Rio.
Nella seconda parte i toni si fanno più freddi, e la morbida tenerezza familiare cede il passo a una violenza fredda e spigolosa, che si attenuerà pian piano nel corso del film. Anche nello stile, infatti, è come se ci fosse una pacificazione, un progressivo adeguamento a una nuova realtà in cui in qualche modo l’amore e la speranza trovano comunque il loro spazio.
Infine, c’è una grande presenza di filmati in Super 8. Nel film diegeticamente sono girati dalla figlia maggiore di Eunice e Rubens, Veronica. La ragazza, fermando su nastro la spensieratezza di alcuni momenti felici della sua famiglia, permette a sua madre e ai suoi fratelli di riviverli mantenendo vivo il ricordo di ciò che sono stati.
Come nella bellissima scena del capolavoro di Wim Wenders Paris, Texas (qui un approfondimento), il rivedersi attraverso lo schermo è un’operazione nostalgica, velata di tristezza, ma capace di far riemergere Rubens da quel buio a cui la dittatura voleva condannarlo.
In conclusione
Io sono ancora qui è un lavoro che in patria è stato amato, e per un film storico e politico che vuole raccontare una pagina del Brasile si tratta già di una grande conferma. L’opera, pur raccontando un periodo buio, rende giustizia alla militanza, a chi non è stato “solo a guardare”, e omaggia la perseveranza di tutte quelle famiglie che hanno lottato per scoprire la verità. Ci ricorda che per proiettarsi verso il futuro, e soprattutto per vivere il presente, bisogna innanzitutto chiudere i conti col passato.
Walter Salles, come la sua eroina, non cede al pathos più spinto. Non cerca la lacrima, eppure Io sono ancora qui è un film che smuove, agita, come quel mare che apre la pellicola e ogni tanto ritorna. E se lo fa è soprattutto perché la sceneggiatura ci offre una protagonista commovente e potente nella sua eleganza sentimentale. Fernanda Torres regala un’interpretazione destinata a rimanere nella Storia, del cinema brasiliano sicuramente, ma probabilmente anche di quello internazionale.
Io sono ancora qui è in sala distribuito da BiM Distribuzione e noi di Almanacco Cinema ne consigliamo certamente la visione.
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