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La genesi di Wonder Woman, la nascita di un mito
Un film sul professor Marston, l’uomo che ha sfidato l’America perbenista degli anni quaranta creando Wonder Woman. L’icona di una nuova femminilità.
Pochi conoscono le vere origini dietro il personaggio di Diana Prince, Wonder Woman, l’amazzone simbolo dell’emancipazione femminile. E devo ammettere che prima di assistere alla visione del film anch’io ne ero completamente all’oscuro.
Il film di Angela Robinson, uscito nel 2017, regista esperta in tematiche LGBT, descrive il legame poliamoroso tra il professor William Moulton Marston e le due donne della sua vita, fonti d’ispirazione per la sua creatività narrativa.
Il personaggio di Wonder Woman, infatti, sembra racchiudere in sé le caratteristiche di entrambe e diventa vessillo di una nuova femminilità in cui coesistono forza, intelligenza, bellezza, giustizia, ribellione e purezza.
La genesi di Wonder Woman, la trama
Lo psicologo William Marston (Luke Evans), docente ad Harvard insieme a sua moglie e collega Elisabeth Holloway Marston (Rebecca Hall), mentre conduce uno studio sulle emozioni umane, e prova a mettere a punto la macchina della verità, inizia un triangolo amoroso con la studentessa Olive Byrne (Bella Heathcote) e sua moglie.
I tre, scoperti e cacciati dall’università, vanno a vivere insieme celando la natura del loro vero rapporto. Per mantenersi, Elisabeth inizia a lavorare come segretaria e Marston, ispirato dall’amore per le due donne, crea il fumetto di Wonder Woman.
Partiamo dal titolo
Il titolo in italiano è fuorviante, in quanto la pellicola è poco incentrata sul fumetto il cui ruolo a livello narrativo risiede solo nell’offrire lo spunto da cui partire per analizzare la società perbenista e bigotta americana degli anni 20’ e 40’, affrontando tematiche trasgressive come l’omosessualità femminile, la pratica del poliamore e la complessità dell’inconscio umano.
Mentre il titolo originale, Professor Marston and the Wonder Women, da notare il plurale della parola “woman”, meglio si presta ai contenuti dell’opera filmica, nonostante non ci si aspetti di trovarsi davanti a un dramma.
Wonder Woman e i risvolti trasgressivi
Nelle prime immagini assistiamo ai fumetti messi al rogo come fossero spazzatura e al protagonista sotto accusa per indecenza. Poi un lento flashback ci conduce indietro nel tempo, al 1928, quando il professore Marston, davanti a una platea totalmente femminile, introduce la teoria DISC (un modello comportamentale in quattro atti: il predominio, la persuasione, la sottomissione e la condiscendenza) e le sue intenzioni di testarla, mentre il suo sguardo si posa sulla bella studentessa Olive, presto sua assistente.
Il motore della storia a questo punto si mette in moto e assistiamo al viaggio dei tre protagonisti mentre si addentrano negli anfratti più oscuri del cuore e dell’animo umano, vivendo la sessualità anche più estrema (il bondage e le pratiche sadomaso) come qualcosa di assolutamente normale se vissute nell’intimità di casa propria.
La linea narrativa principale del film ‒ in cui Marston viene invitato da Josette Frank (Connie Britton), leader della Child Study Association of America, al fine di evitarne la censura, a spiegare i contenuti trasgressivi del fumetto ‒ è spesso intervallata da continui salti temporali in cui il protagonista rivive il suo ménage à trois.
Il fumetto rimane sullo sfondo
Le scene in cui si dà importanza alla genesi di Wonder Woman sono rare, a parte alcune immagini in cui Olive indossa abiti burlesque e tiene in mano un frustino, da cui il professore prende ispirazione per il famoso “lazzo della verità” della sua supereroina.
Intanto, la pellicola scorre ma si ha la sensazione che il viaggio filmico non ci conduca da nessuna parte. La storia risulta essere priva di un vero intreccio, incapace di portare a compimento la trama.
La fotografia dai toni caldi e patinati, in contrasto con le tematiche, ha il potere di smorzare i contenuti, instillando l’idea dell’assoluta normalità insita nelle pratiche sessuali trasgressive. E tra i personaggi l’unica interprete convincente è Rebecca Hall nei panni di Elisabeth.
Conclusioni
La genesi di Wonder Woman non rende giustizia all’icona femminile della DC Comics e neanche al suo creatore. La regista Angela Robinson, che si è occupata anche della sceneggiatura, volendo affrontare varie tematiche tutte insieme è rimasta ingarbugliata in una struttura narrativa debole e per nulla avvincente.