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Passing summer e l’estate in città

“Partire da bambini è normale, non ci pensi nemmeno, sarebbe strano non farlo. Ma ero piu’ felice dopo che durante la vacanza”.

La noia, la solitudine e l’afa delle strade sono i grandi classici dell’estate in città, un’estetica che piu’ volte è stata raccontata sia sul grande schermo che sulle pagine dei libri. Angela Schanelec ci racconta l’estate di Valerie, una donna emotivamente combattuta che deve affrontare la bella stagione tra le strade di una Berlino vuota e desolante. Ciò che ne viene fuori è un quadro ben chiaro di cosa vuol dire rimanere in città d’estate ed una decostruzione dell’estate stessa.

La trama

Valerie, interpretata Ursina Lardi, è una ragazza di Berlino, studentessa di architettura, combattuta da problemi personali e crisi emotive che l’accompagnano durante l’estateche decide di passare in città, sia per scelta che per condizioni esterne. Il film passa esattamente come quella che è l’estate di Valerie, lenta, piatta e del tutto “normale”, senza ferie o vacanze.

Mentre gli amici partono e si imbarcano per nuove avventure lavorative, la regista segue invece le interazioni della protagonista, bloccata in un limbo interminabile nella sua Berlino che prova a superare l’estate insieme a Thomas, interpretato da Andreas Patton, o insieme al fratello nella città natale in seguito ad un imprevisto familiare.

La città è una gabbia

Berlino appare perfettamente per ciò che è, ovvero una gabbia durante l’estate che soffoca e non lascia respirare i pochi baluardi che rimangono per tutti e tre i mesi di sole e caldo, così come per tutte le grandi metropoli. Anche la fotografia riesce a dare un senso di freddo ed apatia che caratterizza il film e tutte le interazioni che vediamo.

La regia, fatta di campi fissi e inquadrature ferme trasmettono un senso di lentezza e scorrimento piatto della vita che non sembra mai cambiare o come se si aspettasse qualcosa che non arriva mai. Un senso opprimente di attesa e continuità che fa solo impazzire. Angela Schalenec non fa altro che presentarci la vita dei protagonisti senza nulla di esagerato ma solo e semplicemente per com’è.

La condizione umana

Oltre a darci un riquadro perfetto dell’estate in città, la regista riesce a descrivere la condizione umana nella metropoli e dell’età adulta ormai raggiunta. La rappresentazione di interazioni, azioni e conversazioni è fedelissima tanto da sembrare un vero e proprio documentario, con la macchina de presa che segue realmente i protagonisti del film.

Un elogio al superamento dell’estate e ai sentimenti e a ciò che realmente proviamo dentro, un senso d’insofferenza verso le grandi città e la pressione di essere semplicemente esseri umani partendo dal punto di vista di un semplice cittadino qualunque che vede quelle scene; la scelta tecnica rispecchia perfettamente questo punto di vista come ad esempio la scelta dell’altezza Ozu per alcune scene o dei molti campi medi usati.