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Witches

Witches, l’opera personalissima di Elizabeth Sankey

Elizabeth Sankey dirige e interpreta un documentario che parla a tutte le Witches, ovvero a tutte le donne. 

È proprio questo il focus dell’opera: riabilitare la figura della strega, non più donna crudele dalla pelle verde, ma saggia depositaria di un sapere indispensabile.

Le streghe di Sankey sono mediche, amiche, sorelle che condividono la stessa condizione, quella di reiette in una società che non riconosce la loro sofferenza.

Witches, la trama

Witches può essere definito un video essay, questo perché utilizza frame di film e pubblicità a supporto della propria narrazione. Allo stesso tempo, è anche un documentario sulla condizione di depressione post partum vissuta dall’autrice.

Infatti, il malessere delle donne-streghe vissute nel XV-XVI secolo finisce per coincidere con il malessere vissuto dalle donne-madri odierne. In entrambi i casi, l’ignoranza e il pregiudizio sociale decretano la loro condanna a morte.

Colpa, sofferenza e vergogna sono i sentimenti che accomunano queste donne e, un po’, tutte le donne.

Witches, i riconoscimenti

Nel 2024, Witches è stato presentato al British Indipendent Film Award, dove ha vinto nella categoria Best Feature Documentary. Mentre, al Tribeca Film Festival ha conquistato la Menzione speciale Viewpoints.

A partire dal 22 novembre dello stesso anno, è stato distribuito in tutto il mondo da Mubi. Sulla piattaforma, è uno dei film più visti in assoluto con un gradimento di 9.1/10.

Mubi si era occupato anche della distribuzione di Romantic Comedy (2019), con cui Sankey si è fatta conoscere al pubblico. Sempre utilizzando la tecnica del video essay, qui la regista britannica cerca di mettere in discussione la nostra idea di amore romantico, plasmato dalle commedie.

Lo stile del documentario

La struttura di Witches è stratificata: infatti, inizialmente la voce narrante della regista ci guida in una rassegna visiva di tutte le più celebri streghe del cinema. Da Il mago di Oz (1939) a Amori e Incantesimi (1998), celebre commedia con protagoniste Nicole Kidman e Sandra Bullock. Fino a Giovani Streghe (1996), cult movie adolescenziale, e The Love Witch (2016), film indipendente femminista acclamato dalla critica.

In seguito, i diversi nuclei tematici vengono raggruppati in cinque capitoli, ognuno dal titolo esplicativo. Passiamo da Discesa nella follia a Accogli la strega. Anche in questo caso, le immagini di film vengono in aiuto alla narrazione, che consiste in una serie di interviste.

In primo piano, a prendere la parola sono Sankey stessa, psichiatre perinatali o persone che hanno vissuto la malattia, guardando direttamente in camera. Il tono delle interviste è familiare come una confessione tra amiche.

Non solo i frame cinematografici, ma anche passaggi da scenografie caotiche e opprimenti a luoghi rilassanti e accoglienti permettono di veicolare le emozioni delle testimonianze.

Interessante notare che Sankey firma regia, montaggio e sceneggiatura. La regista inserisce la narrazione in una dimensione fiabesca e magica, nonostante niente ci venga risparmiato della drammaticità dei contenuti, come giusto che sia.

Essere una strega cattiva

Nei cinque capitoli – o meglio incantesimi – di Witches, si parla di follia, sorellanza, uscita dall’isolamento, rivendicazione femminile e razionalizzazione della malattia.

Nell’introduzione, la regista afferma che fin da piccola ha sempre voluto essere una ‘strega buona’. Per poi scoprire che “non sono le donne a scegliere se essere buone o cattive”.

Essere una strega cattiva coincide con l’essere una cattiva madre, che, allo stesso tempo, ama e odia il proprio figlio.

Tutti i riferimenti in Witches

La critica alla società e alla sua visione arcaica del femminile passa attraverso la critica ai modelli femminili veicolati da film e pubblicità. Ad esempio, la dicotomia buone e cattive tramite i personaggi della strega buona e cattiva ne Il mago di Oz.

Ma anche la banalizzazione della depressione post partum tramite una scena di Senti chi parla (1989). Qui, il personaggio di Kristie Alley riesce a riprendersi dalla propria condizione di neomamma depressa grazie a una sessione di shopping tra amiche.

Invece, la condizione vissuta da Sankey è ben rappresentata da Possession, film horror del 1981, interpretato da Isabelle Adjani. La regista si sente posseduta da una presenza maligna proprio come la protagonista del film.

Diversi film horror fanno da sfondo ai racconti delle donne sopravvissute alla psicosi post partum, definita una vera e propria emergenza psichiatrica. Su tutti Rosemary’s Baby, film horror del 1968, diretto da Roman Polanski e interpretato da Mia Farrow.

L’alienazione e la perdita della propria identità sono tutti elementi richiamati da celebri film con protagoniste donne ai margini. Come Gothika (2003), Ragazze interrotte (2000) e Changeling (2008) – gli ultimi due vedono protagonista Angelina Jolie – , ma anche Tully (2018), con Charlize Theron, fino a Hungry Hearts (2014), con protagonista la nostra Alba Rohrwacher.

La follia e la sua cura

Sicuramente, la malattia psichica ha un ruolo centrale in Witches. Vengono portati gli esempi di storie paradigmatiche che hanno cambiato l’approccio della società britannica verso la depressione/psicosi post partum.

A essere centrale, però, è anche la capacità delle donne di venire in soccorso di quelle che soffrono, grazie all’esperienza della propria malattia. Così, scopriamo che spesso le streghe di una volta erano proprio donne dedite alla medicina e alla cura e, per questo, sovversive.

Dopo la caccia alle streghe, gli uomini hanno preso il loro ruolo come medici, vanificando tutto il lavoro sul campo delle donne. Da quel momento, le malattie femminili sono state sottovalutate e non prese sul serio per molto tempo – e in parte ancora oggi – .

In Rosemary’s Baby, Farrow dice al suo ginecologo di aver letto dei pericoli delle gravidanze extrauterine e come risposta riceve un ammonimento a “non leggere troppo”. Ma anche una serie italiana di recente uscita, come Storia della mia famiglia, riflette proprio sulla poca attenzione riservata alle psicosi post partum.

In conclusione

L’opera di Sankey riesce ad andare alla radice del malessere femminile. Quello che non tanto tempo fa veniva definito come isteria, ma che oggi ha una diagnosi medica. Witches vuole dirci che è possibile stare meglio, e lo fa grazie a sincere e dirette testimonianze.

Un documentario che risponde all’imperativo di dare profondità e complessità all’argomento trattato, con parole incisive e immagini potenti.

Recensione a quattro stelle su Almanacco Cinema