Il discontinuo percorso di Scorsese negli anni ’80 gli infonde paradossalmente sicurezza e lo porta a girare un’altro capolavoro: Quei bravi ragazzi.
Presentato alla Mostra del cinema di Venezia del 1990, il settembre del medesimo anno esce nei cinema Quei bravi ragazzi, il film che, non solo diede una svolta alla vita professionale di Martin Scorsese, ma allo stesso modo fece sobbalzare l’industria cinematografica e tutte le future generazioni di cineasti, da lì a venire, influenzando chiunque.
Escluso Il colore dei soldi, il regista italoamericano veniva da una serie di insuccessi critico-commerciali ottantini – Re per una notte, Fuori orario e L’ultima tentazione di Cristo – poi rivalutati con il tempo, ma che ne alterarono la reputazione e, forse, lo spinsero ad osare sempre di più, per ogni film si prendeva dei rischi non necessari e li superava. Così, iniziò a riavvicinarsi a generi e stili più affini a lui – a detta del pubblico.
Nel 1989 esce New York Stories, un film corale ad episodi. Il primo, Lezioni dal vero, diretto da Scorsese con Nick Nolte e Rosanna Arquette. Il secondo, La vita senza Zoe, diretto da Francis Ford Coppola con la sorella Talia Shire e Giancarlo Giannini. Il terzo, Edipo relitto, diretto da Woody Allen, anche protagonista, insieme alla moglie di allora Mia Farrow.
Il film segnò il debutto attoriale di Adrien Brody e Kirsten Dunst, ma oltre a questo, la pellicola in questione non portò nient’altro. Poco da dire, nel concreto, e zero margine commerciale. Giustamente dimenticata, ad eccezione dell’episodio scorsesiano, considerato il migliore, il più ispirato, su un’artista alle prese con una crisi di mezz’età – non a caso – e della sua giovane ed infelice fidanzata.
Sul set de Il colore dei soldi, Scorsese legge un libro: Il delitto paga bene – Wiseguy in originale – scritto da Nicholas Pileggi. Le affinità con la sua infanzia trascorsa a Little Italy sono troppo evidenti e lo richiamano. Il regista considera l’opera la più onesta che ci sia e decide, quindi, di adattarla. Il film, in originale denominato Goodfellas, ha il titolo italiano di Quei bravi ragazzi.
La pellicola, come il libro, segue le vicende reali del gangster Henry Hill – il compianto Ray Liotta in forma smagliante – da quando è un bambino e che sogna la bella vita, fino alla fine delle sue attività criminali. Durante il suo percorso, Henry scala i ranghi della malavita attraverso l’amicizia col folle Tommy DeVito – uno straordinario Joe Pesci – e con l’appoggio del mentore Jimmy Conway – un De Niro favoloso che torna con Scorsese dopo sette anni.
Premetto che questo di cui parliamo è forse il film che il sottoscritto ha visto più volte nella vita. Il preferito, se è possibile trovarne uno. Detto questo, del film in sé ci sarebbe ben poco da dire, rispetto a quanto già è stato detto, al pari di altri capolavori quali Taxi Driver e Toro scatenato. Scorsese torna al genere che gli diede l’iniziale popolarità con Mean Streets e lo fa suo di nuovo.
Prende una storia già vista, quella di un ragazzino che sogna e va dalle stelle e alle stalle. L’ambizione di un giovane e la mancanza di moralità lo guidano in un mondo corrotto, fatto di omicidi ed eccessi. Ma questo mondo, era già così, che Henry volesse o no farne parte. Gli eccessi sono solo una conseguenza, non una causa. E comunque, la fiaba criminale ha solo due modi per finire, e nessuno dei due ripaga bene quanto il valore della vita stessa.
C’è un po’ di Scorsese in ognuno dei personaggi, ma ancora di più nello stile. Dai virtuosismi nevrotici – la clamorosa scena al Copacabana – alla corruzione morale, l’andamento a spirale fino alla vorticosa e perfetta colonna sonora. Il maestro riprende un genere già suo e lo rivisita. Le regole di cinema de Il padrino ci sono ancora, sia chiaro. Scorsese propone un altro modo di fare film, più personale, apparentemente aperto ma molto privato.
Qua la chiave del cinema attuale. L’originalità non sta nel proporre cose mai viste, ma sta nel raccontarle con un’impronta personale, a seconda dell’autorialità del caso. Roger Ebert lo definì il miglior film di mafia di sempre e, a distanza di 35 anni, è ancora così – Il padrino ed Il padrino – Parte II sono in un campionato a parte. Da qui in poi, Scorsese torna in vetta e si riappropria a pieno della sua vita e della sua casa: la settima arte. Tutti i critici e le botte subite lo hanno reso più forte. Ora, è arrivato il turno di incassare e allora, vaffanculo e pagami.
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