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Scorsese racconta Scorsese: Taxi Driver
Taxi Driver rappresenta il culmine del cinema di Martin Scorsese, tra controversie legate al film ed iconicità della pellicola.
Per questo numero di Scorsese racconta Scorsese, ci ritroviamo a parlare inutilmente della quinta pellicola diretta da Martin Scorsese. Diciamo inutilmente perchè ben poco ci sarebbe da dire su questo film, o forse ce ne sarebbe da parlare fin troppo da poter rinchiudere tutto in un articolo. Il film in questione è Taxi Driver, da poco tornato nelle sale per celebrarne il 50esimo anniversario.
Il film, tuttora considerato universalmente uno dei migliori mai realizzati, fu un’ulteriore – e momentaneo – punto di svolta per il regista italoamericano, sia per quanto riguarda la sua carriera sia la sua vita personale, che stava iniziando spaventosamente quasi a ricalcare la discesa a spirale nella follia del protagonista del suo stesso film.
Taxi Driver
Come già successo con Robert De Niro, fu Brian De Palma – amico storico di Scorsese – ad introdurre il regista allo sceneggiatore Paul Schrader. Schrader allora aveva scritto un solo film, Yakuza di Sydney Pollack, tra l’altro co-sceneggiato, ma ora si ritrovava in mano un’opera talmente grande che era difficile da affidare ad un regista. Si pensò a John Milius e Irvin Kershner, ma non erano adatti, gli mancava qualcosa.
Ecco l’incontro che cambiò tutto, Scorsese e Schrader si ritrovarono come due linee perpendicolari, perchè Schrader scrisse il film isolandosi da tutti per tre settimane ed è così che arrivò all’idea del taxi come metafora di una gabbia che confina un uomo, reduce da un trauma dal quale non si torna indietro, e viaggio in un mondo in cui nessuno si accorge di lui. Questa idea fu accompagnata poi dalla lettura dei diari di Arthur Bremer e dalla storia di Sara Jane Moore – entrambi tentarono di uccidere il Presidente – oltre che dalla canzone di Harry Chapin chiamata, appunto, Taxi.
Dietro al film
Scorsese cita poi Diario di un ladro di Robert Bresson per l’idea di redenzione e peccato, Sentieri selvaggi di John Ford per l’atmosfera western – il finale – ed i retroscena del protagonista – veterano di guerra e cowboy – ed infine Frank Costello faccia d’angelo, perchè vedeva Travis Bickle come una figura tra un cowboy appunto ed un samurai che vuole raggiungere la santità, l’onore.
Mentre voleva che la prima parte del film in particolare ed il finale risultassero agli occhi dello spettatore come un sogno, una follia lucida in un viaggio psicologico, questo ancora prima di aver letto il copione di Schrader. Voleva mischiare l’atmosfera di A Bigger Splash ma che fosse ambientato nel mondo di tutti i giorni, con un uomo comune in prima linea, proprio come ne Il ladro del maestro della suspense Alfred Hitchcock. Oltre a questi film, ascoltò in continuazione lo splendido disco Astral Weeks di Van Morrison.
Un folle uomo malato
Sarebbe folle pensare a Taxi Driver senza De Niro, ma prima di lui diversi nomi furono considerati, come Jeff Bridges ed Al Pacino e, ancora, Dustin Hoffman. Ma perchè rifiutarono? Mentre per i primi due non si sa, il terzo disse che rifiutò il film perchè Scorsese era un pazzo. Ed ecco come, nuovamente, la sua intelligenza autoriale e la sua vita di tutti i giorni incrociavano gli sguardi.
Nel 1976 Scorsese si era appena sposato con Julia Cameron. Secondo matrimonio per il regista, ma che da subito diede problemi, tanto da portare i due a divorziare dopo la nascita della loro figlia, dopo a malapena un anno. Scorsese era diventato paranoico, ossessivo e, soprattutto, aveva iniziato – o apmlificato – un cammino tortuoso sul lungo viale della dipendenza da cocaina, che lo avrebbe poi condizionato per almeno i quattro anni a venire.
Le controversie
Tanto si è parlato della pellicola in sè, quante sono state le controversie legate ad esso. Jodie Foster aveva appena dodici anni quando girava sul set, e veniva sostituita da sua sorella nelle scene meno adatte. Sempre la Foster verrà citata da John Hinckley Jr., che nel 1981 tenterà di uccidere l’allora Presidente USA Ronald Reagan, dichiarando che l’idea gli sovvenne dopo aver visto il film.
Purtroppo quell’attentato fallì, al contrario di tutte le vite che l’ex Presidente contribuì ad uccidere in Sud America ed in Medio Oriente. Ma ovviamente, tutto questo va oltre l’arte. Oltre il cinema. E se il cinema rappresenta la vita, allora non ci dovremmo preoccupare per un Travis Bickle, ma per i tanti Martin Scorsese. E non dovremmo adulare un Ronald Reagan, ma i Paul Schrader, i Michael Chapman, i Bernard Herrmann.
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