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La città proibita, la recensione: grazie Mainetti
La recensione in anteprima di La città proibita, di Gabriele Mainetti. La prova che il cinema di genere italiano è ancora vivo… e mena anche piuttosto forte.
Lo scorso sabato all’Eurcine Multisala di Roma si è svolta l’anteprima di La città proibita (2025), l’ultima opera di Gabriele Mainetti, con la presenza in sala dello stesso regista e dei due attori protagonisti, Yaxi Liu ed Enrico Borello.
Noi di Almanacco Cinema c’eravamo e possiamo raccontare di un film che non è solo un ottimo film d’azione italiano, ma di un ottimo film d’azione in generale.
Un film che non dovete assolutamente perdervi quando uscirà nei cinema il 13 marzo. E in questa recensione vedremo perché.
Informazioni su La città proibita
Molto simpatico, in sala Gabriele Mainetti si è detto molto felice per la fiducia dimostrata da una sala che era praticamente piena. Ha raccontato di essere ancora più felice dopo le difficoltà incontrate lungo il percorso, soprattutto per reperire i finanziamenti necessari per il film.
La città proibita, ha aggiunto, è un atto d’amore verso la sua città, Roma, che ha la capacità da un lato di rimanere immutabile nel tempo e dall’altro di rivelare sempre delle sorprese e degli angoli incredibili.
E’ un film che trae molta ispirazione dai film di Bruce Lee. Mainetti ha raccontato, infatti, di amarli da ragazzino, quando immaginava che Bruce Lee buttasse giù tutti i bulli che giocavano a pallone con la sua cartella.

Gabriele Mainetti è un regista fondamentale per il nostro cinema, che lo ravviva, senza però cadere nella scopiazzatura dei prodotti hollywoodiani.
Con Lo chiamavano Jeeg Robot (2015) portava in scena una bellissima visione del supereroe in Italia, senza calzamaglie e con un “eroe” molto più indolente che mosso da chissà quali grandi ideali. Con Freaks Out (2021), invece, ci si spostava più su un racconto fantastico, però mantenuto comunque abbastanza sporcato, povero, terra-terra, legato ad un contesto familiare e dello sbarcare il lunario, e sempre con una buona dose di ironia. Un tipo di fantasy, quindi, più piccolo e grezzo che, come ci ha insegnato anche ad esempio il Racconto dei Racconti (2015) e Pinocchio (2019) di Garrone, o Il ragazzo invisibile (2014) di Salvatores, funziona a meraviglia.
Forse è proprio La città proibita che si rifà più ad un cinema estero, quello orientale di Bruce Lee appunto; però il tutto suona più come un omaggio, piuttosto che un tentativo di “Dai, facciamolo anche noi”.
In La città Proibita, Mainetti collabora anche alla sceneggiatura, assieme a Stefano Bises e Davide Serino. Inizialmente il titolo sarebbe dovuto essere “Kung-fu all’amatriciana“, ma successivamente (e per fortuna) è stato cambiato. Il budget del film è stato di 16 882 672 €; si tratta del primo film di Mainetti di cui non sia anche produttore. Il produttore principale di La città proibita è, infatti, Mario Gianani, candidato a cinque David di Donatello e che ultimamente è stato anche tra i produttori di C’é ancora domani (2024).
Le primissime sequenze del film sono state presentate in anteprima il 4 dicembre 2024 durante le Giornate Professionali di Cinema di Sorrento, un evento dedicato agli addetti ai lavori del settore cinematografico.
La città proibita uscirà nelle sale italiane a partire dal 13 marzo 2025.
La città proibita: trama e cast
Mei (Yaxi Liu), una misteriosa ragazza cinese, arriva a Roma in cerca della sorella scomparsa. In città, il cuoco Marcello (Enrico Borello) e la mamma Lorena (Sabrina Ferilli) portano avanti il ristorante di famiglia tra i debiti del padre Alfredo (Luca Zingaretti), che li ha abbandonati per fuggire con un’altra donna. Quando i loro destini si incrociano, Mei e Marcello combatteranno nemici spietati, tentando di risalire alla verità, in una battaglia in cui la vendetta non si può scindere dall’amore.

Dopo essere stata controfigura nel Mulan live-action Disney, a Yaxi Liu è affidato il ruolo di protagonista del film. Ha scherzato sul fatto di aver dovuto lavorare di più per questo film rispetto a quelli girati nel suo paese, per un motivo che riprenderemo più avanti nella recensione vera e propria.
La scelta di Mainetti è stata resa possibile grazie ad un suo collaboratore, che gli aveva mostrato un video su Instagram che mostrava una ragazza cinese di nome, appunto, Yaxi Liu. I suoi movimenti erano perfetti e frutto di anni di allenamento, ma la domanda era se sapesse o meno recitare. Al primo provino Yaxi Liu era timida e trattenuta, finché Mainetti non le ha chiesto se avesse vissuto la politica del figlio unico in Cina. A quel punto lei ha risposto con un che è una terzogenita. Ed è stato così che, magicamente, le emozioni sono venute fuori ed il personaggio di Mei aveva la sua interprete.
Il co-protagonista è, invece, Enrico Borello, attore ancora abbastanza agli inizi, con alle spalle però già 7 anni di carriera e film come Settembre (2022) e Familia (2024).
Altro attore con un ruolo molto importante nel film è Marco Giallini. Lui attore che non ha bisogno certo di presentazioni, candidato 6 volte ai David di Donatello e famoso per la serie Rai, Rocco Schiavone. Attualmente lo abbiamo visto anche su Netflix per la serie tv ACAB.
Altri membri del cast: Sabrina Ferilli, Luca Zingaretti, Chunyu Shanshan, Sheena Hao, Daniela Glasgow.
La recensione no spoiler in anteprima di La città proibita
C’è poco da dire: Mainetti gira bene, fine.
Si capisce bene perché Yaxi Liu abbia detto di aver dovuto lavorare di più per questo film. Mainetti, infatti, preferisce girare delle sequenze d’azione (che sono la parte forte del film) che non siano basate sul montaggio. Per questo gli scambi di colpi vengono ripresi per intero e senza troppi stacchi, spesso tramite campi medio-lunghi, andando nel dettaglio quasi esclusivamente per enfatizzare i colpi più violenti. Il lavoro per le coreografie sarà stato senza dubbio impegnativo.
Si riesce a trovare l’equilibrio giusto tra tangibilità dei colpi sferrati, violenza e niente di poi chissà quanto disturbante per lo spettatore. Nulla a che vedere con un Kill Bill, per citare uno dei film che per ovvie ragioni è stato accostato a La città proibita, ma comunque ci sono delle soluzioni che sono intelligenti e violente al punto giusto. Cito, ad esempio, la grattugia, l’olio o gli arti spezzati. A conti fatti, la prima scena d’azione resta anche la migliore di tutto il film, ma non certo per demerito delle altre.

Le influenze principali che sono state individuate per questo film sono due in particolare e non posso che trovarmi d’accordo: Quentin Tarantino e Bruce Lee. Bruce Lee ovviamente per le coreografie e la componente orientale e delle arti marziali, mentre Tarantino per il semplice fatto che quando si fa un revenge-movie non si può prescindere dai più grandi dei revenge-movie, che sono senza ombra di dubbio i due Kill BIll. C’è anche una scena di uno-contro molti in cui il richiamo a questo film si fa anche più evidente.
La fotografia di Paolo Carnera è un altro degli aspetti più che positivi del film, con toni che si spostano principalmente dal dorato ad una sorta di verde acqua.
Spesso, nei film nostrani siamo più portati ad individuare dei difetti nella recitazione, a causa della mancanza del doppiaggio in particolare. Qui, invece, sono tutti bravissimi. Dalla Liu, che riesce a combinare forza ma anche una certa percentuale di tenerezza e vulnerabilità, a Borello fino a Giallini, che letteralmente si mangia lo schermo ogni volta che entra in scena.
Il film racconta sì una storia di vendetta ma anche di amore, amore capace di superare barriere legislative o culturali, sovvertendo anche in questo caso i canoni (ormai ben che superati nel cinema) dell’uomo macho e forzuto e della donna da proteggere. Ci si concentra anche molto sull’ambiente romano, in particolare su quel vasto “sottobosco” multietnico di gente che cerca di arrivare a fine giornata e relative persone pronte ad approfittarsene.
È un film perfetto? No, certo che no. I difetti sono per lo più imputabili alla struttura del film e alla sceneggiatura. Sia chiaro: il ritmo è davvero molto buono, ma ci sono delle cose che sono state tralasciate. Una su tutte è il legame tra Mei e la sorella, fulcro del film, ma che a conti fatti si poteva approfondire un po’ di più, vista la sua importanza, come anche quello di Marcello col padre. La sceneggiatura tampona un po’ con qualche monologo ma resto dell’idea che un paio di scene effettive, e non di dialoghi, in più non avrebbero guastato.
E poi l’abilità di Mei. In Kill Bill, ad esempio, prima ancora di scoprire nel 2° film del suo speciale addestramento, sapevi comunque che La Sposa facesse parte di un’organizzazione di sicari. Perciò ti davi delle effettive spiegazioni sul perché fosse così tanto più forte dei suoi avversari: semplicemente lei era la migliore della sua squadra. Qui invece Mei affronta e devasta uomini che dovrebbero essere molto addestrati e la sensazione che il film ti dà è quasi che sia perché il padre da piccola le abbia insegnato le arti marziali. Ovviamente poi è lo spettatore che ricama e immagina un suo ulteriore addestramento nel tempo ma, anche in questo caso, il film avrebbe dovuto mostrare o quantomeno dire qualcosa a riguardo. Se è per questo è anche molto prevedibile un certo colpo di scena riguardo un personaggio sul finale.
D’altro canto, è molto riuscito l’evoluzione del rapporto tra Mei e Marcello, tenero e pure divertente. Una certa scena in motorino è spassosissima e, dopo averti mostrato il lato oscuro di Roma, ti viene mostrato anche quello migliore.
Perciò, che dire: si tratta di un film d’azione molto buono e divertente, con ottime sequenze d’azione, dramma ma anche la solita dose di ironia di Mainetti, e che nonostante tutto non è neanche il migliore dello stesso regista; anzi si prende senza eccessive colpe il terzo posto tra i tre film del regista romano.
Comunque sia, in un mondo di L’amore e altre seghe mentali, Come può uno scoglio e Un mondo a parte, super consigliato.

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