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Aftersun

Aftersun: Il trauma nel cinema – Sotto la superficie

Aftersun è il delicato esordio alla regia di Charlotte Wells. Un film fatto di piccole cose, che contengono un universo intero di un padre e una figlia. 

Cosa resta di quel legame, oltre ai ricordi sbiaditi di una vacanza insieme?
Presentato al Festival di Cannes 2022 e vincitore del Premio della Giuria French Touch, Aftersun è un piccolo wunderkammer di malinconia, in cui il vuoto racconta il trauma di quel che resta in ciò che non c’è più.
Un film che ha consacrato Paul Mescal come volto di una fragilità maschile unica. Un’interpretazione che gli valse la candidatura come Miglior Attore agli Oscar 2023.

Una vacanza indimenticabile, in cui Charlotte Wells parte dalla sua esperienza personale, per raccontare di un dolore invisibile nascosto sotto la superficie. Un padre che lotta contro qualcosa di incomunicabile che non sapremo mai. E lo sguardo curioso di una figlia, che solo da adulta farà i conti con l’assenza di una figura sbiadita e frammentata.

Aftersun

I luoghi dell’incomunicabilità

La fotografia di Gregory Oke è fatta di spazi ampi, resti e silenzi. Un’atmosfera rarefatta in cui i paesaggi sembrano immobili, talvolta persino vuoti. Il mare, il cielo azzurro e la piscina deserta sono la cornice di un’apparente serenità. È un vuoto che ci parla del rapporto tra Sophie (Frankie Corio) e suo padre Calum (Paul Mescal). Dunque, una malinconia tanto estetica quanto emotiva.

I due condividono momenti delicati e teneri, tuttavia sembra esserci sempre qualcosa di non espresso, che non permette al legame di evolversi appieno. L’inquadratura diventa la lente dell’anima, attraverso cui osserviamo un tempo che siamo certi non tornerà più. Anzi, già allora sembrava essere così fragile da potersi dissolvere tra la luce e il mare sconfinato.

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Aftersun e il trauma nel trauma

A fine visione nasce un nodo alla gola, perché vogliamo sapere di più della storia di Sophie e Calum, ma quel di più non c’è. Poiché come per noi, anche per Sophie quella è stata l’ultima volta che ha visto suo padre.
Cosa è successo a Calum? Da dove nasce la sua sofferenza? Ci chiediamo cosa si nasconda dietro quegli occhi spenti che hanno abbandonato la vita già da tempo. Forse una depressione, un malessere esistenziale. Non lo sapremo mai.

Nei suoi gesti c’è affetto e premura, ma ciò non basta, giacché il peso che porta sulla schiena è sempre lì con lui. Non sappiamo se Calum sia ancora vivo o meno. Dunque, non ci resta che vivere la sua persona attraverso le memorie della figlia. Ma sono ricordi appesi a un filo delicato.

Comprendiamo come Aftersun sia un trauma nel trauma: quello di una figlia che si aggrappa ai ricordi del padre per non dimenticarlo, e quello di un padre stanco della vita, che a sua volta cerca disperatamente di restare integro, mentre tutto dentro lui muore.

Il trauma di Sophie: il bisogno di ricordare, la paura di scordare

I fotogrammi della memoria diventano per Sophie un archivio emotivo da cui tornare per non scordare – e certamente per trovare un senso dove un senso non c’è. Persino la Sophie bambina si aggrappa al padre con un abbraccio. E quella bambina resta, incastonata per sempre nella donna che sarà.
Il trauma si manifesta proprio nella paura di dimenticare, nel timore che quel poco che è stato salvato possa dissolversi. E così, la memoria diventa un tentativo di tenere vivo ciò che si è amato e perso. I ricordi, allora, sono la sola testimonianza di ciò che è stato, l’unica realtà che resiste combattendo contro il tempo.

In Aftersun, il trauma non è un episodio specifico. Ma un dolore muto che continua a risuonare. Una vera e propria elaborazione del lutto, di chi ormai vive solamente dentro noi.

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