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Dietro la sceneggiatura: Franco Solinas
Per la rubrica settimanale sugli sceneggiatori, oggi raccontiamo la carriera di una figura centrale del cinema italiano e internazionale: Franco Solinas.
Franco Solinas nasce a Cagliari il 19 gennaio 1927. Figlio di un ufficiale di marina, cresce nell’arcipelago della Maddalena, un luogo che gli rimarrà nel cuore per tutta la vita, segnando profondamente la sua sensibilità e la sua poetica.
Nel 1942, in seguito alla morte del padre, si trasferisce con la famiglia a Roma. Dopo il diploma al liceo classico, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. Per mantenersi agli studi, lavora come operaio e, in quegli stessi anni, aderisce al Partito Comunista Italiano. Partecipa attivamente alla Resistenza romana, svolgendo il ruolo di staffetta partigiana: un’esperienza che influenzerà in modo determinante il suo sguardo politico e artistico.
Inizi nel giornalismo e il debutto nel cinema
Dopo la laurea in giurisprudenza, Solinas inizia a collaborare con diverse testate giornalistiche, scrivendo racconti brevi. Successivamente lavora come critico cinematografico per l’Unità e Paese Sera. La svolta arriva quando il suo romanzo Squarciò viene adattato per il film La grande strada azzurra (1957), diretto da Gillo Pontecorvo, segnando l’inizio della sua carriera da sceneggiatore.
In realtà, Solinas aveva già esordito nel 1951, scrivendo insieme a Sergio Sollima il soggetto di Persiane chiuse, diretto da Luigi Comencini. In quegli anni nasce anche la collaborazione con Ugo Pirro: un sodalizio promettente ma sfortunato. Molti dei progetti firmati dalla coppia non vennero mai realizzati e, quando lo furono, i loro nomi spesso non comparivano nei crediti. I due decisero infine di separarsi professionalmente, pur mantenendo un rapporto di profonda amicizia.

L’amicizia con Pontecorvo e varie collaborazioni
Contemporaneamente, Solinas stringe un forte legame con Gillo Pontecorvo, basato su passioni comuni come la natura, la pesca e la militanza politica, condivisa fin dai tempi della Resistenza. Fu proprio Solinas a introdurre Pontecorvo nel mondo del cinema, presentandolo a Mario Monicelli. Dopo l’esordio alla regia di Pontecorvo, i due iniziarono a collaborare stabilmente, realizzando insieme Kapò (1960), film che ottenne una candidatura all’Oscar come miglior film straniero. Ma è con La battaglia di Algeri (1966) che Solinas si affermò a livello internazionale, ricevendo oltre la candidatura all’Oscar come miglior film straniero – ovviamente per Pontecorvo – quello per la miglior sceneggiatura originale.
Nel 1960 Solinas partecipa, insieme a Suso Cecchi D’Amico ed Enzo Provenzale, alla sceneggiatura di Salvatore Giuliano, diretto da Francesco Rosi. In questi anni firma alcuni dei più importanti western italiani, come La resa dei conti (1967) di Sergio Sollima, Quién sabe? (1967) di Damiano Damiani e Il mercenario (1968) di Sergio Corbucci.
Non mancano, nella sua carriera, collaborazioni internazionali di grande rilievo: tra queste, quelle con il regista greco Costa-Gavras, per i film L’Amerikano (1972) e Hanna K. (1979).
Solinas e la sua scrittura impegnata
La poetica di Franco Solinas si distingue per un forte impegno civile e politico, radicato nella sua esperienza partigiana e nella militanza comunista. I suoi lavori sono attraversati da un profondo senso di giustizia sociale e da una critica serrata al potere, alle disuguaglianze e alle dinamiche oppressive, sia sul piano individuale che collettivo. Solinas aveva la rara capacità di fondere narrazione e ideologia senza mai sacrificare la forza drammatica del racconto: i suoi personaggi, spesso spinti da motivazioni morali o rivoluzionarie, sono figure complesse, combattute, mai stereotipate.
Franco Solinas ci ha lasciati nel 1982, ma la sua eredità vive ancora attraverso le sue opere e l’impronta indelebile che ha lasciato nel cinema italiano e internazionale. A lui è dedicato il Premio Franco Solinas, nato nel 1986 con l’obiettivo di valorizzare nuovi talenti della sceneggiatura, nel segno di un cinema capace di coniugare passione civile, qualità narrativa e impegno autoriale. Un omaggio concreto alla memoria di uno sceneggiatore che ha saputo dare voce ai conflitti del suo tempo, trasformandoli in storie universali.