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Le interviste: Alberto Fornari, sceneggiatore di Orfeo
Orfeo, dal mito al fumetto al grande schermo: Alberto Fornari ci svela il viaggio creativo tra cinema e visioni contemporanee.
Il mito di Orfeo ed Euridice rivive al cinema grazie a Orfeo: il primo lungometraggio del regista Virgilio Villoresi, tratto da Poema a Fumetti (1969) di Dino Buzzati e presentato fuori concorso alla 82ˆ Mostra del Cinema di Venezia.
Alberto Fornari ci racconta le sfide affrontate nell’adattare la grafic novel allo schermo, restanto fedele all’universo visionario di uno dei massimi autori italiani del Novecento.
Almanacco Cinema presenta: l’intervista ad Alberto Fornari
Com’è nata l’idea di portare sullo schermo l’opera complessa e visionaria di Dino Buzzati, rivisitazione in chiave onirica e fumettistica del poema classico di Orfeo ed Euridice?
“È stata un’idea del regista Virgilio Villoresi. È lui che mi ha proposto di collaborare all’adattamento di Poema a fumetti; un progetto che voleva assolutamente realizzare. Per acquisirne i diritti cinematografici, ha addirittura fondato la sua casa di produzione. Infatti, Orfeo è un film in parte autoprodotto e in parte finanziato dal Ministero della Cultura”.
Quanto tempo avete impiegato a realizzare il film?
“La macchina cinematografica si è mossa lentamente, molto di più rispetto a un film normale, sia per la lunga attesa dei finanziamenti pubblici sia per la tipologia di tecniche utilizzate, come lo stop motion e l’uso della pellicola in 16mm, che richiedono tempo. È stato un viaggio lungo e complesso, iniziato nel 2021 e conclusosi da poco con l’anteprima mondiale alla Mostra del Cinema di Venezia. In questi quattro anni, due e mezzo son stati dedicati alle riprese”.
Adattare un fumetto letterario e visionario come quello di Buzzati comporta delle sfide particolari: qual è stata la più grande?
“Sì, dici bene. Poema a Fumetti è un libro complesso, un’opera visionaria. La sfida più grande è stata quella di creare una linea narrativa fluida e coerente per rendere il prodotto cinematograficamente fruibile, essendo l’opera frastagliata, piena di ellissi e digressioni. Quando ho iniziato a lavorare al testo, l’ho ribattezzato Opera Mundi, nel senso che contiene una serie di intuizioni, tematiche e concetti importanti.
Sembra quasi l’opera testamentaria di Buzzati, nella quale è presente il suo intero mondo: ciò che aveva capito della vita, le sue passioni e ossessioni, la sua visione del tempo, della morte e dell’aldilà. Tutte indicazioni che mi sono tornate utili per non allontanarmi dal nucleo narrativo del poema. Inoltre, durante la stesura dello script ho anche potuto attingere ad altre opere dell’autore e, in accordo col regista, inserire scene e spunti non presenti nell’opera originale”.
Quanto è stato importante il dialogo creativo con Villoresi per la stesura della sceneggiatura?
“Tantissimo. Ci siamo confrontati dal primo minuto all’ultimo. La prima bozza l’ho scritta nel 2021, vincendo due bandi del MiC, grazie ai quali abbiamo iniziato a lavorare al film. Ho poi steso una seconda bozza durante le riprese, in base alle richieste del regista. Villoresi è un uomo istintivo, visionario, capace di creare mondi fantastici. Il suo desiderio di meravigliare e meravigliarsi lo portava a ricercare costantemente soluzioni diverse da quelle immaginate. Di conseguenza bisognava riscrivere per adattarsi alle sue intuizioni che, alla fine, si rivelavano essere le scelte migliori.
Anche nella sala di montaggio è accaduta la stessa cosa. Insomma, il film è stato riscritto strada facendo. Invece di dieci stesure prima e poi andare sul set blindato, abbiamo fatto esattamente il contrario: meno stesure e spazio all’onda emotiva e al confronto per creare. Quando vedrai il film capirai che è tendenzialmente un viaggio onirico”.
Ci sono delle scene che sono rimaste uguali all’opera originale?
“Diciamo al 90% simili e coerenti. Non dico identiche, ma simili. Come ti dicevo, abbiamo ampliato l’opera inserendo delle scene originali: siamo partiti da alcune tavole del fumetto, quelle che risultavano essere delle semplici digressioni, sviluppandone temi a parte, coerenti con la linea narrativa principale. Ad esempio, c’era una tavola di Poema a fumetti in cui era presente solo la citazione di una bambina, come un vago ricordo. Villoresi ha trasformato la bambina nel bambino protagonista.
A quel punto si è creata una nuova scena e questa nuova scena ne ha fatte nascere altre, quasi fosse un sillogismo, però un sillogismo visionario. Il film è stato un work in progress artigianale e artistico. Un meraviglioso viaggio. Un viaggio metafisico che ho fatto insieme al regista, da solo e con tutti gli artisti, oltre a coloro che hanno preso parte al set”.
Quanto ha significato la colonna sonora per la buona riuscita del film?
“La colonna sonora ha giocato un ruolo fondamentale per l’intera pellicola, conferendo ritmo e atmosfera alla narrazione. Ed è stata importante fonte d’spirazione per il regista. Il compositore, Angelo Trabace, ha composto le musiche prima di iniziare a girare, confrontandosi semplicemente col regista, il proprio talento e conoscendo a fondo il lavoro di Buzzati. Tutto ciò gli ha permesso di creare una musica talmente poetica da risultare guida e collante dell’intero film.
Ricordiamo che Poema a fumetti di Buzzati è una rivisitazione del mito di Orfeo ed Euridice, modulato in chiave moderna, in cui il protagonista è un chitarrista pop. L’Orfeo di Villoresi, invece, è un pianista. Il regista ha preferito sviluppare il personaggio dandogli una connotazione più classica, per una questione estetica e visiva. In questo caso la musica dà spessore al personaggio, lo caratterizza. Ci fa capire la sua interiorità. La colonna sonora di Trabace si può quasi considerare come un’opera d’arte a sé stante”.
Ci sono delle scene che hai sentito più tue e altre che hanno preso una piega inaspettata rispetto a come le avevi immaginate?
“Sai, Orfeo è un film molto autoriale e autobiografico in senso artistico. Dentro non c’è solo Buzzati, c’è anche tutto il background di Villoresi. Lui nasce come artista di concerti d’arte visiva, video-arte, in cui la musica è la principale fonte d’ispirazione. Poi è figlio di una ballerina. Nel film troviamo immagini di repertorio (inserite con il found footage) in cui sua madre balla. Una sorta di omaggio nei suoi riguardi. Eppure, nonostante il film sia molto improntato sulla visione del mondo del regista, c’è anche molto di me. Villoresi mi esortava a lasciarmi ispirare e dentro vi sono scene affini alla mia poetica, alle mie letture, a ciò che amo, sotto forma di citazioni.
La pellicola è iper-citazionista. Al suo interno vi sono Cocteau, Jean Vigo, Buñuel, il cinema polacco dell’est degli anni ’50 e ’60, Abel Gance, Fellini, Méliès, De Chirico, Dalí e tanto altro e altri. Orfeo è un tributo al cinema, alla letteratura, all’arte. Però una scena in cui mi riconosco, e che amo particolarmente, è quella del Mago, in cui vi è il sogno nel sogno, per la quale ho utilizzato un altro libro dell’autore, inserendo le parole di Bàrnabo delle montagne”.
Scrivere Orfeo ha cambiato il tuo rapporto col mito e la scrittura?
“Diciamo che col tempo mi sono reso conto che i miti cambiano a seconda del punto di osservazione storico in cui ci si ritrova. Ma il nucleo di fondo, l’archetipicità del mito rimane identica. Il mito ha valore proprio perché rimane fisso e porta la stessa intuizione sul mondo. Quindi, non è cambiato il mio modo di considerare il mito, ma Orfeo ha cambiato il mio approccio alla scrittura. Villoresi, coinvolgendomi pienamente in tutte le fasi del film, mi ha insegnato a sbarazzarmi di quelle sovrastrutture inutili e a lasciarmi andare alle intuizioni. Inoltre, mi ha avvicinato al mondo dell’animazione che conoscevo solo in maniera trasversale. Un mondo che offre possibilità completamente diverse, proprio perché lascia libera la mente di vagare”.
Ti ritrovi dentro l’universo di Buzzati? C’è qualcosa che ti risuona nel suo modo di creare e scrivere?
“Si, mi ci ritrovo molto. Buzzati l’ho riscoperto lavorando alla sceneggiatura. Rileggendo i suoi lavori, ho trovato analogie con la mia visione del mondo”.
La nostra intervista volge al termine, ma mi rimane un’ultima domanda: se Dino Buzzati potesse vedere Orfeo, sarebbe contento del risultato?
“Penso di sì. La natura del suo lavoro non è stata snaturata. Anzi, ha preso vita”.
Ringraziamo Alberto Fornari per il tempo che ci ha dedicato.