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Scorsese racconta Scorsese: The Big Shave

Scorsese racconta Scorsese: The Big Shave

Su Almanacco Cinema, per il primo numero della rubrica settimanale Scorsese racconta Scorsese, parliamo di uno dei suoi primi lavori: The Big Shave.

In attesa di scoprire quale sarà il suo prossimo impegno – se il film crime hawaiano con Dwayne “The Rock” Johnson e Leonardo DiCaprio, se l’adattamento per Apple del libro Home di Marylinne Robinson – ripercorriamo insieme la carriera e la vita di uno dei più grandi maestri del cinema: Martin Scorsese.

Una carriera iniziata più o meno nel 1959, ha preso il via con The Big Shave, cortometraggio – uno dei suoi primissimi lavori – realizzato nel 1967, ma divenuto disponibile su blu-ray e dvd solamente nel maggio del 2020, con la sua inclusione nel cofanetto Scorsese Shorts, come parte della Criterion Collection. Il film è anche disponibile gratuitamente su youtube.

I primi passi

Mentre è uno studente alla Tisch School of Arts di New York, Scorsese realizza due primi ed interessantissimi cortometraggi per la scuola: il sentimentale e surreale What’s a Nice Girl Like You Doing in a Place Like This? del 1963 ed il film gangster It’s Not Just You, Murray! del 1964 – entrambi disponibili gratuitamente su youtube.

Già da questi primi lavori si vedono i tratti distintivi del futuro stile del regista italoamericana – verso Fuori orario e Quei bravi ragazzi. Scorsese decide di ambire ancora di più, ma mai allontanandosi effettivamente dalla sua identità, né tantomeno dal modo di esprimersi e di mettere in immagine i suoi sentimenti e le sue profonde idee.

The Big Shave

Il cortometraggio muto ha come unico personaggio un uomo – interpretato da Peter Bernuth, nel suo unico ruolo accreditato – simbolo dell’americano medio, che si rade. Accompagnato per la sua durata totale di sei minuti dal brano I Can’t Get Started, nella versione di Bunny Berigan. Man mano che l’uomo continua a radersi nel suo bianchissimo bagno, inizia a tagliarsi in volto e sulla gola, dando il via ad un bagno – appunto – di sangue irrefrenabile.

Il film si chiude con la frase Viet ’67, accompagnato da un riferimento alla mastodontica opera Moby Dick di Herman Melville, il cui nome appare accanto alla scritta whiteness – titolo del 42° capitolo del romanzo. E null’altro c’è da dire sulla trama nè sugli avvenimenti riguardanti particolari snodi narrativi che il film prende.

The Big Shave

La guerra del Vietnam

Scorsese decide quindi di raccontarci il tempo in cui vive, senza parlare. Sì, perché è proprio tra il 1965 e la metà del 1968 che si attraversa la cosiddetta fase dell’escalation della guerra del Vietnam, con l’aumento dell’impegno militare degli Stati Uniti durante il periodo della disdicevole presidenza – come del resto anche quella del suo predecessore – di Lyndon B. Johnson.

Scorsese vede così la figura dell’americano medio: un bagno, costoso, pulito, ordinato… autodistruttivo. La sua critica non si muove tanto verso la guerra in sé, non è necessario lui per dire quanto la guerra – in particolare quella del Vietnam – sia stupida e futile, bensì il suo moto di riflessione è sul comportamento delle persone davanti a questa vicenda. E il ritratto che ne fa, è quello di un uomo autolesionista, violento ma, peggio di tutte, inconsapevole, o solamente non curante.

Le influenze ed uno sguardo al futuro

Già con i suoi primi due lavori, la lista di elementi che Scorsese riutilizzerà nel suo cinema è evidente: il crimine e la nostalgia, i personaggi gangster e le personalità ossessive, fino al modo stesso in cui muove la cinepresa. Ma con The Big Shave ritroviamo tutto il suo cinema futuro, ed allo stesso tempo, il cinema hollywoodiano di fine anni ’60, ispirato ai corti di Kenneth Anger ed ai primi lavori di John Cassavetes – poi futuro amico e mentore di Scorsese.

Il montaggio potente aiuta a risaltare il forte contrasto tra il rosso del sangue ed il bianco del bagno – la whiteness, appunto – la violenza senza logica e l’immagine pulita, il sacro ed il profano, la vita e la morte. E forse, Scorsese ci aveva visto lungo e, forse, ma solo forse, questo film di cinque minuti parla molto più di quanto si possa pensare e risulta essere, ora più che mai, di vitale attualità ed importanza.

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